martedì 11 dicembre 2012

"O MIA O DI NESSUN ALTRO".....NON è una frase d'amore! E' una minaccia!



Ma a qualcuno interessa sapere quante sono le donne uccise ogni anno in Italia? Quasi ogni giorno, una donna viene aggredita e uccisa da un uomo. E non un uomo sconosciuto, mai visto, il pazzo, il maniaco, l'orco che spunta all'improvviso! E nemmeno l’extracomunitario nordafricano o dell'est, lo zingaro, il diverso. Niente affatto. La stragrande maggioranza dei femminicidi in Italia avviene per mano di un parente stretto: di solito il marito o il compagno, ma a volte anche il padre, spesso il fidanzato. 


Ancora adesso incredibilmente e vergognosamente si parla di raptus della follia, da crisi di gelosia, di depressione o di disagio per l'abbandono.
Oppure è lo stress o se è estate si da la colpa al caldo, perchè si dice ancor oggi che è il caldo a far uscire di senno un uomo che aggredisce e uccide la partner.

Invece in tutti questi femminicidi c'è la precisa volontà di eliminare un problema. E se il problema è un essere umano di sesso femminile e con spesso anche dei figli, non ha importanza per chi non sa affrontarlo e risolverlo in modo civile, ma vuole invece risolverlo in fretta e in modo drastico per eliminarlo del tutto perchè non sa immaginare una vita diversa da quella che ha sempre vissuto.

Che il fatto sia raccontato al telegiornale o nel talk show di turno, ogni volta si cerca di “capire” il perchè, il come mai un'altra donna è stata uccisa, ma in realtà cosa viene fatto per fermare questo massacro?
Si cerca la causa, la giustificazione...ma le donne che sono vittime di violenza domestica e che pure hanno denunciato il compagno violento vengono lasciate sole!

E poi tutti i femminicidi non sono dovuti al cosiddetto “raptus” che non esiste! Qualsiasi psichiatra o criminologo lo afferma.
Possono esserci dei disturbi di personalità di cui a volte si ignorano o sottovalutano i sintomi, ma nessuno può svegliarsi la mattina e trasformarsi in assassino. Questo è sicuro, altrimenti ognuno di noi può essere un potenziale assassino allora!

Oggi le donne lavorano fuori casa, fanno carriera, hanno figli oltre i quarant'anni, hanno vari interessi. In altri Stati, purtroppo molto poco in Italia, le donne assumono posizioni importanti, di potere politico ma esistono ancora molti uomini che non sopportano l'emancipazione femminile e l’idea di essere lasciati dalla propria compagna, moglie, fidanzata. 

Per questi uomini è intollerabile perchè loro dicono di “amarle” così tanto da non poter vivere senza di “lei” Ma questo è possesso! Del bisogno malato di poter avere l’altra a disposizione come un qualsiasi oggetto. E dell’incapacità di questi uomini di accettare l’idea che una donna non è una cosa che gli appartiene, ma una persona un essere umano che quando decide di chiudere la storia, la sua decisione va rispettata nella maniera più assoluta. Senza minacciarla, picchiarla, o perseguitarla o come spesso accade ucciderla per distruggerla del tutto e per sempre.

 “O solo mia o di nessun altro” non è una frase d'amore! E' una minaccia!
Il desiderio di possesso non è amore è solo egoismo, mancanza di autostima, profonda insicurezza di tanti uomini che, frustrati scaricano tutta la loro rabbia repressa sulla donna indifesa. La compagna diventa valvola di sfogo, capro espiatorio “perfetto” su cui riversare delusioni, rabbia, paure.

Servono leggi e forze dell'ordine per contrastare la violenza maschile sulle donne e la cultura...Ma quante donne dovranno essere uccise prima di ottenere questo?

La giustizia è inesistente nel nostro paese perchè spesso questi assassini, se condannati, dopo pochi anni sono liberi e magari la donna prima di essere uccisa aveva già denunciato il compagno violento, ma nulla come spesso, troppo spesso accade, viene fatto per salvarla. Ma quell'uomo doveva essere fermato e la donna messa in protezione....


Non sempre le denunce  aiutano le donne maltrattate ad uscire dall'incubo, anche perché quasi mai l'uomo violento violento, dopo essere stato denunciato, viene allontanato dalla vittima o fermato e sottoposto a perizia psichiatrica o psicologica per valutarne il grado di pericolosità e relative misure da adottare per evitare altre aggressioni. Nel nostro paese non esiste una politica legislativa seria per prevenire e fare fronte a questa vergogna nazionale.


Ci dovrebbero essere dei corsi di specializzazione in materia per forze dell'ordine, giudici, avvocati e il potenziamento dei servizi sociali e dei centri antiviolenza e soprattutto condanne severe senza sconti di pena contro gli uomini violenti. Non si può più tollerare e giustificare.

Ricordatelo voi e ricordatelo alle altre donne: “O solo mia o di nessun altro”.....non è una frase d'amore! E' una minaccia!

 Ma... a qualcuno interessa veramente sapere quante donne vengono uccise in Italia?! O no??

Vera Innocenti







sabato 24 novembre 2012

POTERE E CONTROLLO:




La violenza come strumento maschile di potere controllo e subordinazione del genere femminile 


La violenza è la volontà di soppressione del genere femminile, la volontà di dominio e di subordinazione di un sesso, quello maschile, nei confronti di quello femminile che viene avvertito come diverso, quindi come un qualcosa di negativo. La violenza non è frutto di una patologia o di una devianza, ma è spesso la "normalità" nei rapporti fra uomini e donne nella nostra società. 
Le donne maltrattate, violentate, possono essere di qualsiasi età, religione, cultura, ceto sociale e condizione economica. E in egual modo lo sono gli uomini violenti.


La violenza fisica e sessuale in un rapporto di coppia è sempre accompagnata da quella psicologica. Gli episodi di violenza iniziano poco alla volta senza motivo apparente, sempre più frequentemente evolvendo in episodi sempre più gravi che possono arrivare a mettere a rischio la vita della donna. 


Per le donne la vita di coppia diventa un crescendo di angoscia ed ansia. La continua tensione  alla quale vengono sottoposte dai loro compagni e la conseguente esplosione di rabbia e violenza  per poi tornare ad una "apparente" calma e normalità, porta le donne a sentirsi fortemente destabilizzate, ad auto incolparsi di quanto accade, a perdere la stima di se stesse, 

ad essere confuse, dubbiose che tutto possa cambiare e cosa peggiore la convinzione che sia impossibile sfuggire al potere dell'uomo. Tale comportamento maltrattante è un metodo di tortura usato  per distruggere le vittime, per minare la loro psiche.



L'uomo che fa violenza famiglia la usa per mantenere controllo sulla compagna/moglie e a volte sui figli/e. E' una vera strategia finalizzate a esercitare potere sull'altra persona, con modalità atte a controllare, umiliare, squalificare, impaurire la donna.
                                                                                                    
L' intimidazione
E' il voler impaurire la donna con urla, parolacce, con sguardi minacciosi, rottura di oggetti di sua proprietà o suppellettili dell'abitazione. 
Maltrattare gli animali di casa.
Mostrare armi come coltelli, pistole ecc
Il maltrattamento psicologico
Svalorizzarla, farla sentire indeguata, offenderla
Convincerla che è pazza
Cercare di controllarla psicologicamente
Umiliarla, farla sentire in colpa
La strategia dell'isolamento
Controllarla in tutto, cosa fa, dove va, chi frequenta, cosa dice e con chi parla, cosa indossa, controllare il telefono cellulare o la borsa.
Limitare le uscite.
Giustificando tale comportamento con l'essere geloso per amore di lei.
Minimizzare, negare, colpevolizzare
Deridere ed accusare la donna di esagerare e dirle che la violenza non è avvenuta  minimizzando e/o anche negando. Non prendere sul serio l'abuso e la sofferenza di lei.
Incolparla che è stata lei a provocarlo e che se l'è "cercata"
Usare i figli/e
Farla sentire in colpa come madre.
Usare i bambini/e per parlarle e/o per dirle cose sgradevoli.
Usare i giorni di visita per disturbarla, infastidirla.
Minacciare di portarle via i bambini/e o di fare loro del male.
Usare il maschilismo
Trattarla come una serva comportandosi da padrone
Non coinvolgerla nelle decisioni importanti
Pretendere rapporti sessuali

Maltrattamento economico
Tenere tutto il denaro e costringerla a chiedere i soldi.
Impossessarsi dei i suoi soldi
Impedirle di cercare o mantenere un lavoro

La coercizione e le minacce
Minacciarla mettere in atto cose che potrebbero causarle del male
Minacciare di lasciarla, di suicidarsi, di denunciarla ai servizi sociali
Costringerla a ritirare le denunce fatte. Costringerla a fare cose illegali

Vera  Innocenti

martedì 18 settembre 2012

COME NON PERDERE SE STESSE: Come difendersi da chi vi rovina la vita


Leggendo con attenzione, riconoscerete nei comportamenti descritti, comuni umani atteggiamenti. Conoscerli è il primo passo per riprendere in mano la propria vita. 

Oppressa da chi vuole impedire di essere se stesse.
- Intimidita sino al punto di sentirsi paralizzata.    
Istigata a far qualcosa che non si ritiene giusta.
Squalificata sino a pensare di non valere nulla.
Sedotta da sogni che la angosciano.      
Demotivata da insuccessi che non si capiscono.
Imbrogliata da chi vuol sfruttarci per i propri fini.

L'Oppressione:
L'oppressione nasce sempre attraverso un pretesto: una forma, un decoro, uno status. È una malizia che rimanda alla circostanza in cui avviene ed alla quale attribuiamo noi stessi importanza. Spesso fa leva sul bisogno di appartenere e sull'incapacità di autonomia. L'oppressione arriva avvolgente come certezza di un luogo sicuro in cui si percepisce come "bello" il fatto di lasciarsi opprimere.
L'oppressione è esercitata nel rapporto a due, dove il contesto funziona sempre da pretesto, o da causa, per giustificare il significato dell'oppressione. In questo senso l'oppressore trasforma l'amore in un'arma e non cede di fronte alla realtà del suo agire negativo perché "lo fa per il bene dell'altro". Nell'oppressore c'è una sorta di voluta ottusità che gli impedisce di vedere l'effetto autentico della sua azione, nell'oppresso c'è la compiacente remissione ai voleri dell'oppressore, da cui l'oppresso ricava l'unica definizione possibile di sé.
 L'oppresso dunque non ha identità personale se non in funzione dell'oppressore. L'azione dell'oppressionedetermina la caduta delle possibilità di scelta e l'effetto finale è quello di una frattura interna nella persona che non sa più riconoscersi come soggetto e non sa più entrare in contatto con la sua anima.
Le strade per la libertà passano attraverso il riconoscimento della propria debolezza sospendendo le valutazionicontinue sul fatto che l'oppressione dia esiti negativi o positivi, questo dialogo interno avvolge ancor più nell'oppressione. Ma per pervenire all'accertamento della propria identità occorre relativizzare il rapporto a due, tipico dell'oppressione e relativizzarsi.
 Non pensarsi più come "figlia di quel padre", "moglie di quel mario", ecc. La difesa dai perenni attentati dell'oppressione sta nel non esistere più in funzione di quel solo rapporto, spezzandone così il ritmo ed accettando la separazione e la solitudine affettiva conseguente. Solo così si perviene alla possibilità di "sapersi sentire da sole" ed ascoltare la compagnia dei sentimenti della propria anima, accettarla ed amarla.

L'Intimidazione: 
Intimidazione e istigazione sono due azioni rivolte al soggetto al fine di produrre una "non azione" o un'"azione". Appartengono a due specie di categorie di azione dotata di senso, diverse tra di loro con il denominatore comune di "non lasciare tempo".
L'intimidazione paralizza ed impedisce il pensiero e le scelte, mettendo in campo una violazione brutale dei sentimenti della persona, per renderla incapace di reagire. La violenza psicologica dell'intimidazione è sottovalutata rispetto alle caratteristiche relazionali dell'abuso a cui si accompagna. Le vittime degli abusi descrivono un vissuto di separazione profonda da se stessi prodotta non tanto dal dolore e dalla violenza fisica subita, ma dalla lacerazione della loro interiorità.
 La frattura provocata dall'intimidazione è dentro il sentimento del sé, diviso da una scissione. Gli occhi guardano, la mente registra ma non c'è reattività, né esteriore, né interiore. All'esterno non si produce nessun movimento di resistenza, all'interno nessuna elaborazione attraverso la percezione del dolore, della rabbia o dello sconforto.
 A volte l'unica elaborazione è quella depressiva; ciò accade spesso nei bambini che, attribuendo ancora all'adulto una connotazione positiva, si autoattribuiscono la responsabilità dell'essere vittime e, successivamente, rivolgono contro se stessi l'aggressività.
 Dal loro punto di vista la colpa è loro, perché un adulto non può essere così cattivo da far loro così tanto male.
 Nei casi di abuso fisico sono più evidenti gli effetti dell'intimidazione, agita per rendere l'altro annichilito e passivo di fronte all'azione.
Ed è l'intimidazione la vera protagonista della frattura interna, molto più della violenza in sé. In persone colpite da violenze anche più grandi non si riscontrano disastri emotivi come in chi ha vissuto paralizzato un abuso. La struttura della comunicazione di intimidazione è dirompente e progressiva, senza cedimenti e titubanze; può esistere senza esercizio di violenza fisica, ed anche senza esplicite minacce, nella sola qualità di invasione psicologica della mente altrui. Sono catalogabili come intimidazioni tutte le pressioni di potere su soggetti vittime agite a scopo di estorsione o di mobbing (il mobbing è una patologia sociale originata da aggressioni, per lo più di genere psicologico, da parte di colleghi e/o superiori gerarchici sul posto di lavoro.
 Tra i diversi comportamenti di mobbing l'intimidazione è presente nelle condotte aggressive tendenti ad impedire alla vittima di esprimersi attraverso urla, rimproveri, critiche, improperi, terrorismo telefonico, ecc.).
L'effetto dell'intimidazione è distruttivo della dimensione profonda della persona perché si insinua come frattura tra il sé e la percezione profonda del valore dei sentimenti; il risultato è quello di non riuscire più ad avere un contatto con la propria personale identità.
 Questo tipo di azione può dunque "portar via l'anima", impedire cioè per lungo tempo l'ascolto della parte più sensibile e sensitiva dell'interiorità umana. L'antidoto agli attentati intimidatori è il possesso del proprio tempo vitale.
 Solo chi possiede il senso interno del tempo può respingere tali assalti, tenendosi saldamente al suo essere nel tempo, al senso della durata, all'incontestabile certezza che quanto avviene intorno a noi è comunque un'esperienza transitoria, e, in ogni caso, ha un dopo. La durata consente di riconoscere l'azione esterna e quando tale azione viene riconosciuta, riemerge la consapevolezza della propria identità e svanisce la paura. "Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio trovò il tempo per andare ad aprire e non c'era nessuno".

L'Istigazione:
Anche l'istigazione ha a che fare con il tempo. Chi istiga pretende una risposta immediata, non tanto perché tale risposta sia subitaneamente agita verso altri, quanto al fine di far assorbire immediatamente il contenuto specifico di quell'istigazione.
 L'istigazione è un processo, a volte duraturo, costituito da tappe e da passaggi con calcolata progressione strategica volta a determinare una nebbia conoscitiva e valutativa intorno al soggetto istigato dalla quale egli può uscire solo dando credito ad un suggerimento, a volte nemmeno profferito in forma compiuta, alla cui luce tutto si rischiara.
La persona istigata non sa esattamente cosa fare e cosa pensare ed il suo tempo è stretto e limitato poiché sente impellente il bisogno di agire e di sistemare le cose con giustizia. L'istigato è prigioniero della confusione e del conflitto interiore a cui vuol por fine senza avere più il tempo per pensare o per decidere.
Il possesso del proprio tempo è l'antidoto all'istigazione utilizzandolo sulla base delle personali scadenze, precedentemente decise: "domani si vede", "settimana prossima analizzo il da farsi", "Aspetto un pò di tempo e poi ne parliamo", ecc. L'essersi dati scadenze e progetti rassicura e mantiene forte la serenità interiore ed il contatto interno, corroborando l'ottimismo giacché chi è amico di un tempo galantuomo non si sente obbligato a rispettare le scadenze imposte da altri mediante l'assillo dell'istigazione.

La Squalifica:
La svalutazione, la derisione, la ridicolizzazione umiliante, il discredito pubblico e la disconferma brutale sono i principali metodi con cui opera la squalifica. Nella mente delle vittime collassa l'autostima sia per la percezione della propria impotenza, sia per il fatto di sentirsi umiliato ed emarginato.
I due processi si rinforzano vicendevolmente e la persona non riesce più a comprendere l'essenza della sua identità.
Egli si sente un nulla e qualunque cosa faccia per liberarsi da tale condizione, la peggiora. Le reazioni di sdegno o di collera vengono utilizzate da chi squalifica per rinforzare l'immagine negativa dello squalificato.
 Progressivamente vengono disprezzati valori di riferimento della persona che, perdendo questi ancoramenti, perviene ad una grande fragilità interiore.
Il suo contatto con l'anima è un filo sempre più tenue che può rompersi se ciò in cui crede viene ulteriormente calpestato. La squalifica mette infatti in discussione la dignità della persona per quello che è, per quello che ha costruito e per quello in cui crede. La risposta alla squalifica consiste nell'autodichiarazione, anche priva di azioni o di comunicazioni di accompagnamento, di "ora basta"! Ora basta significa la riappropriazione dell'identità e della dignità, anche in assenza di moti di azione o di reazione alle altrui denigrazioni. "Tu non puoi toccare la dignità della mia anima perché viene da così in alto che per te è inaccessibile e irraggiungibile!".Questa dichiarazione di conferma è l'unica strada certa e consolante che dissolve gli equivoci interni alla persona e riapre alla fiducia in se stessi.
Si fonda sulla ferma opposizione al logoramento interiore prodotto dagli attentati al sentimento di dignità della persona umana e, dunque, non si aggrappa a nessun riferimento alle qualità del soggetto ed al suo agire. È una dichiarazione umile che non cerca di difendere le posizioni sociali o relazionali cadendo nella trappola di svendere ulteriormente la dignità personale.
Infatti ogni discussione sul proprio valore personale, professionale o di competenza rischia di far scivolare la persona negli equivoci del difendersi da accuse mai formulate esplicitamente perché costantemente pretestuose. Il prendere atto della propria piccolezza come persona, ma della grandezza della propria interiorità, è un atto umile, non squalificabile da nessuno e soprattutto non mercificabile con nessun compromesso sulla sostanza di sé.
L'agire della squalifica non riesce così a raggiungere l'effetto della separazione del sé dall'interiorità; la decisiva difesa dell'interiorità mediante l'affermazione della sua dignità invece che allontanare dalla propria anima, riavvicina e la rende inattaccabile.

La Seduzione:
Il seduttore agisce sui sogni e non sui bisogni e cattura la vittima attraverso l'immagine della vittima che viene restituita dal rispecchiamento nel seduttore. La seduzione offre al soggetto qualcosa che non ha, o meglio fa apparire al sedotto di essere quello che non è e che sogna di essere. Il seduttore recita all'interno dei sogni della vittima, quegli stessi sogni che la vittima non ha mai ammesso a se stessa di avere. Il terreno su cui muove la seduzione è sempre irreale e le pressioni esercitate sull'anima la portano ovunque alla ricerca di un posto che non c'è.
Il processo di estraniazione avviene mediante l'allontanamento dell'anima e l'illusione che i suoi sogni possano essere reali e soddisfatti. Tali sogni sono però lontani dall'identità della persona, appartengono ad un mondo che la persona ha forse immaginato o ne ha un ricordo o ha costruito su questo le sue pretese di completezza.
 L'illusione ha come esito la disillusione, così come la seduzione ha come esito la delusione.
 Il processo più grave è quello dell'illusione/disillusione giacché la persona ha paura di farsi raggiungeredall'angoscia di separazione. Fino a che era sedotta entro la cornice dei suoi sogni poteva coltivare il desiderio di unità e di fusione gratificante e finalmente totalizzante, quando si disillude avverte di tradire i suoi sogni e teme di non poterli possedere più.
Dunque scappa dall'angoscia e, animatamente agitata (isterica) cerca di raggiungere ciò che non esiste.
L'antidoto ai sogni della seduzione è la terra: i piedi per terra e la coscienza delle cose di cui si ha davvero bisogno. Meglio ancora della terra l'immagine a cui rifarsi è quella del fango: spesso i sogni da cui attinge energia la seduzione sono quelli nascosti nella persona che non sono mai stati pienamente considerati, accettati pur nella loro impurità, compresi ed elaborati.
 In essi vi è il seme della futura delusione che rimanda esattamente quello che si è investito nel processo di acconsentimento alla seduzione.

La Demotivazione: 
Le aspettative sull'esito delle nostre azioni sono una trappola per chi attende risposte direttamente congruenti ai comportamenti espressi. L'impegno non paga mai in termini meccanici e congruenti, ma produce effetti di effetti che tornano alla persona per vie complicate, ma non misteriose. Spesso la demotivazione dipende da aspettative troppo alte e da eventi vissuti come sconfitte delle quali è difficile scoprire il perché. Il demotivato si sente sotto esame e non accetta di essere sempre impreparato. Allora sospende l'interesse e chiude le sue energie. Il demotivatore si esprime con un agire intenzionale volto a togliere la voglia del fare attraverso una sequela dipiccoli atti invisibili che fiaccano la volontà. Così la persona demotivata sente su di sé il peso dell'insuccesso, si attribuisce la colpa e si ritaglia limiti entro cui stare che, col tempo, diventano sempre più stretti. Perde forza ed intenzionalità e ulteriormente si sente insufficiente ed incapace. La sfida alla demotivazione parte dalla riscoperta della propria innocenza. Il demotivato non ha colpa poiché ha fatto quanto poteva, ha reagito, si è impegnato, si è anche battuto ma qualcosa o qualcuno hanno impedito che le sue imprese avessero successo. L'innocenza dell'anima è la risomministrazione a se stessi di un nuovo battesimo che riapre alla vita. Tale è il significato del rinnovato contatto con l'anima e l'effetto dell'innocenza è la visione di sé in possesso della forza per andare avanti.

L'Imbroglio:
La trasparenza e la comunicazione sono gli antidoti all'imbroglio nelle diverse forme di ricatto affettivo, manipolazione e condizionamento. Chi imbroglia induce all'azione con l'inganno senza rispettare l'altro, consapevole di agire secondo il principio del fine che giustifica i mezzi. E il fine cui l'imbroglione si riferisce è sempre un fine "nobile" che lo conferma e lo sostiene nel suo agire o, almeno, è un fine significativo per i suoi interessi legittimi o, addirittura, per i veri interessi della vittima che solo lui sa interpretare e raggiungere. La condizione dell'imbrogliato è una sospensione della chiarezza e del contatto con la realtà intima dei suoi veri bisogni. La frattura tra il sé e l'anima è determinata dall'incapacità di riconoscere con trasparenza ciò che l'interiorità chiede e desidera da quanto viene detto, interpretando, dall'altro che agisce nell'imbroglio. Ottiene così un'immagine falsificata di sé e dei suoi bisogni, del suo dialogo interno, delle sue aspettative. La stessa voce interiore appare falsa alla superficie della coscienza e viene progressivamente fatta tacere. Il contatto è interrotto perché ciò che l'imbrogliato sente è da lui stesso dichiarato non vero. Uscire dall'imbroglio richiede un testimone esterno capace di ridare consapevolezza e di oggettivare la situazione di vita e di pensiero che viene drammaticamente vissuta nel corso dell'imbroglio. L'uscita dall'imbroglio è liberazione trasparente ed inequivoca attraverso la quale si restituisce respiro all'interiorità. L'antidoto è dunque l'aria, trasparente e rarefatta. Così come l'imbroglio vive sulla pesantezza dei ragionamenti e delle operazioni formali, la trasparenza vive sulle percezioni, sulle sensazioni e sulle intuizioni rimandate al soggetto direttamente dalla realtà del suo vivere.

"Perdere se stesse è perdere l'amina" significa perdere il contatto con essa da parte del sé. Per mantenere il contatto occorre elaborare strategie di difesa dagli attentati. Non si tratta più solo di lavorare per ottenere l'equilibrio del sé, bilanciandolo tra i diversi copioni di rinforzo, in affinità o in opposizione, ma di disporsi a modelli di razionalità e di modulazione dei sentimenti paradossali rispetto ai semplici vissuti di relazione tra il sé e gli altri o tra il sé e l'anima. Gli altri, il sé e l'anima sono contemporaneamente in gioco e le diverse insidie debbono essere depotenziate senza danneggiare né gli altri, né il sé, né l'anima. Qualsiasi danno è perdita di contatto con una parte indispensabile dell'esistenza umana.

Vera Innocenti


sabato 4 agosto 2012

MASCHIO SI NASCE O SI DIVENTA? COME I CENTAURI. MITO E IDENTITA' MASCHILE.



Centauri: esseri duali. Non soltanto erano insieme uomo e cavallo, avevano una doppia natura: saggi e guaritori, ma anche violenti e stupratori. L'identità maschile è scissa in animale (fecondatore) e civile (paternità) ben più di quanto lo sia quella femminile. La sua polarità sociale non è frutto di lunga evoluzione, ma recente e culturale. Quindi, più precaria. Con lo sprofondare del patriarcato riemerge, nel pieno della postmodernità, il polo "rimosso": la natura animale, simboleggiata dal cavallo. Come nel mito, irrompono patologie quale lo stupro di gruppo, sconosciuto alle specie animali, testimone di una incapacità di relazione risolta con la violenza.

Top secret. L'identità maschile rimane un sancta sanctorum. Un luogo inaccessibile allo sguardo. E' il caro prezzo pagato in cambio dell'abitudine a pensarsi - consapevolmente o meno - il detentore naturale del potere, nella sfera privata della famiglia come in quella pubblica. Ancora oggi si pensa che l'identità maschile sia soltanto una somma di predisposizioni biologiche, di muscoli e corteccia cerebrale. Che, insomma, maschio si nasce e non lo si diventa. E, invece, chissà, si potrebbe scoprire che il maschile è una costruzione storica e magari neppure tanto solida. Anzi. Maschio si diventa, e a prezzo di operazioni culturali sempre precarie, di scelte più o meno sotterranee tra modelli, riferimenti e archetipi che mal s'accordano tra loro. Per esempio, tra i due principi contrapposti di animalità e civiltà. Che il maschio umano diventi un animale capace di socialità solo attraverso un faticoso processo culturale lo sostiene Luigi Zoja, psicanalista e presidente dell'associazione che raggruppa tutti gli analisti junghiani (Iaap), oltre che del Centro italiano di psicologia analitica. La coesistenza tra la polarità animale e la capacità di convivere con gli altri in società è cosa complicata da ottenere. Un tema classico della psicanalisi da Freud in poi. Luigi Zoja se n'è occupato in saggi recenti, Contro Ismene, Considerazioni sulla violenza (Bollati Boringhieri) e La morte del prossimo (Einaudi), ma è soprattutto ne II gesto di Ettore (uscito sempre per Bollati nel 2000) che ha messo a fuoco l'identità maschile come il terreno di lotta tra principi contrapposti. Lì era appunto la scomparsa del padre, il rifiuto della figura paterna nel suo significato più positivo di educatore alla civiltà, a spiegare il senso di un fallimento epocale, di una regressione del maschio al polo opposto dell'animalità bestiale. Come nella figura mitologica dei Centauri - tema di una relazione che Luigi Zoja ha tenuto venerdì scorso al Festival della mente di Sarzana (fino ad oggi) - riemerge nel maschio contemporaneo il polo rimosso dell'animale fecondatore, incapace di amare e di rapportarsi all'altro e, per ciò stesso, incline alla patologia dello stupro.


Il modello che in questa società riscuote più successo è quello del maschio che compete per conquistare l'oggetto del desiderio prima degli altri rivali. L'esito estremo di questa cultura è lo stupro. Perché è fallito l'altro modello, quello del padre educatore alla convivenza civile? 
Questo sarebbe l'altro aspetto di un lavoro sull'identità maschile. A differenza dell'identità femminile in cui la "femmina" e la "madre", le due dimensioni orizzontale e verticale, coesistono da sempre, perché coesistono nella scala evolutiva in tutti gli animali man mano che ci si avvicina agli esseri umani e continuano a coesistere in tutte le civiltà primitive, moderne e postmoderne, quella maschile subisce invece degli sbalzi notevoli. Fondamentalmente la parte paterna comincia con la cultura. Gli animali più vicini a noi non hanno dei veri ruoli paterni, hanno soltanto il maschio che compete per le femmine, si accoppia e non riconosce i propri figli, non se ne occupa. Il padre è un'invenzione culturale. Il patriarcato è fragile, anche dal punto di vista psicologico, proprio perché è una costruzione storica. Nell'identità maschile le due polarità, "maschio competitivo animale" e "padre", non sono ben sintetizzate poiché la figura paterna compare nella scala evolutiva solo in tempi "recenti", nelle ultime centinaia di migliaia di anni. Non è una cosa consolidata da sempre attraverso tutti i passaggi dell'evoluzione come quella femminile. Il padre è un ruolo molto relativo alla cultura. Il patriarcato è stato uno dei punti di forza e, insieme, di debolezza dell'Occidente. Secondo me tutta la questione del patriarcato è una questione di decadenza. Nel Gesto di Ettore criticavo i men studies americani che parlavano tutti della crisi del padre e del patriarcato ma facendola risalire al XX secolo. Io cercavo di notare che già la rivoluzione francese, punto di arrivo dell'Illuminismo, proclama il motto liberté egalité fraternità. Il legame più importante fra gli esseri umani è orizzontale, quello dei fratelli si sostituisce, almeno nelle classi colte, come principio guida a quello del patriarcato. La rivoluzione francese nei fatti comincia a limitare il potere del padre. Fino ad allora la responsabilità dell'educazione ricadeva sotto l'autorità del paterfamilias. Dalla rivoluzione francese in avanti viene spostata invece sullo Stato.


La crisi del padre ha creato un vuoto nell'identità maschile. Non sarà per questo che l'identità maschile si è sbilanciata verso l'altro modello, verso l'animale competitore?
Nel mio intervento al Festival della mente mi sono soffermato appunto sull'altra polarità maschile, quella animale e selvaggia. Cerco di mettere a fuoco il profilo del maschio aggressivo e violentatore. L'idea mi è venuta osservando al Louvre le figure di Centauri che rapivano le donne. Mi sono incuriosito. La figura mitologica del Centauro non ha compagne, l'unica cosa che fa è rapire le donne. Mi sembrava una metafora mitica di quel che può succedere quando il padre se ne va. Oggi siamo in una situazione del genere. La scomparsa del padre non è avvenuta soltanto al livello delle istituzioni e dello Stato, ma purtroppo anche al livello dell'uomo della strada, delle classi medie e della cultura consumistica. Se dovessimo indagare come è cambiata, ad esempio, la comunicazione dei giovani detenuti nelle carceri, scopriremmo che fino a venticinque anni fa parlavano tutti della ragazza e mostravano sentimenti di nostalgia. Oggi parlano soprattuttodella motocicletta e di oggetti. Anche questo è significativo. C'è un atteggiamento di rapina nei rapporti che si lega molto al consumismo ed è antitetico alla responsabilità paterna, alla figura del padre nel senso positivo e costruttivo di "guardiano della civiltà" che in gran parte abbiamo buttato via con tutta l'acqua sporca del patriarcato.

In genere associamo il maschio violentatore al prodotto più tipico del patriarcato, di un ordine simbolico cioè fondato sul dominio maschile. Qui invece c'è un rovesciamento di questa tesi Scopriamo che il maschio violentatore è il prodotto della crisi del padre. O no?
La componente selvaggia e animalesca del maschile è proprio il non-padre. Il maschio competitivo e rapinatore. Come psicanalista junghiano io parlo di figure mitologiche, non punto l'attenzione sulle persone in carne e ossa. Parlo di archetipi che dominano nella società. Questo maschio competitivo lo vediamo molto attivo nel carattere delle donne in carriera, come si dice oggi.

La televisione che oggi occupa quasi tutto lo spazio pubblico, non è la principale "fabbrica di archetipi" di questo tipo?
Vero. Da un lato, la struttura economica ipercompetitiva della società è un incoraggiamento a sviluppare questa componente aggressiva della propria personalità per avere successo e, da un altro lato, i mass media vendono questo modello come il più adatto in una vita consumistica.


Non per fare del riduzionismo volgare però non crede che i casi di stupri oggi siano figli di questa identità maschile non più capace di fare da padre?
E' molto difficile dire se gli stupri siano aumentati. Le statistiche possono aiutarci solo fino a un certo punto. Tra i risultati negativi dello stupro è proprio di far tacere le persone, di creare un clima di inibizione, trauma e vergogna. Però è importante che se ne parli ed è importante, a mio giudizio, metterlo in relazione con tutto il problema storico dell'identità maschile. Date queste due polarità, il maschio precivile e il padre, con lo sprofondare del padre - come nel gioco della bilancia - sale invece l'altro.


Però così sembra che non il patriarcato c'entri qualcosa con lo stupro, quanto invece - e paradossalmente - la sua crisi. Ma così si dimentica che il patriarcato è un rapporto di dominio del maschile sul femminile. O no?
La direi in un altro modo. Il patriarcato è già una struttura sociale o, addirittura, politica. Preferisco parlare di crisi dell'identità paterna. C'è un ritorno a un'identità maschile di tipo pre-paterno. La scomparsa del padre fa parte di una lenta decadenza. Il punto più alto è stato toccato in Grecia e nell'antica Roma. Dopo di allora il patriarcato è vissuto sulle glorie passate ma in realtà ha imboccato la strada di una lenta crisi. L'Illuminismo - come dicevo prima - critica il patriarcato. E il primo a scrivere del mito dell'Edipo non è Freud, ma Voltaire. Il padre va in lenta decadenza. Ultimamente anche la struttura economica della società tende a far emergere l'altra polarità maschile, cioè il maschio competitivo. Anche questo è un altro aspetto della scomparsa della padre.

C'è da dire però che la scomparsa del padre non ha prodotto una grande riflessione. A differenza di quanto è avvenuto con il femminismo non c'è stato un approfondimento sull'identità maschile e i suoi cambiamenti. O no? 
Non c'è stata una grande riflessione. Infatti mi stupisce il relativo successo del mio libro, Il gesto di Ettore che continua a essere venduto nonostante sia pubblicato da una casa editrice abbastanza specialistica, Bollati Boringhieri. Conosco gruppi di uomini ma fanno abbastanza poco. In America, invece, di riflessioni ce ne sono anche troppe, seconde me scivolano sul sentimentale. In Europa ci lavorano sopra gruppi un po' più colti ma rimangono comunque nelle nicchie della società. Più in là queste riflessioni non vanno.

Insomma questa società ha la sua base ideologica e materiale nell'archetipo del maschio fecondatore, animale e competitore. Vero? 
Per questo la metafora del Centauro corrisponde al nostro tempo. E' completamente incapace di amore, sa solo rapire. Il ratto significa sia rapimento che stupro. Il Centauro conosce solo questa modalità di rapporto col femminile. Secondo me è una delle conseguenze del consumismo e dei mass media. Anche se poi ci raccontano che i mass media narrano storie hollywoodiane in cui vincono sempre i buoni. Non è vero per niente. Nel messaggio hollywoodiano vince l'impazienza. Non la capacità educativa, non la pazienza pedagogica, bensì la figura del maschio che va subito allo scopo. Simbolicamente il maschio che rapisce la femmina e non si impegna in un rapporto. Top secret. L'identità maschile rimane un sancta sanctorum. Un luogo inaccessibile allo sguardo. E' il caro prezzo pagato in cambio dell'abitudine a pensarsi - consapevolmente o meno - il detentore naturale del potere, nella sfera privata della famiglia come in quella pubblica. Ancora oggi si pensa che l'identità maschile sia soltanto una somma di predisposizioni biologiche, di muscoli e corteccia cerebrale. Che, insomma, maschio si nasce e non lo si diventa. E, invece, chissà, si potrebbe scoprire che il maschile è una costruzione storica e magari neppure tanto solida. Anzi. Maschio si diventa, e a prezzo di operazioni culturali sempre precarie, di scelte più o meno sotterranee tra modelli, riferimenti e archetipi che mal s'accordano tra loro. Per esempio, tra i due principi contrapposti di animalità e civiltà. Che il maschio umano diventi un animale capace di socialità solo attraverso un faticoso processo culturale lo sostiene Luigi Zoja, psicanalista e presidente dell'associazione che raggruppa tutti gli analisti junghiani (Iaap), oltre che del Centro italiano di psicologia analitica. La coesistenza tra la polarità animale e la capacità di convivere con gli altri in società è cosa complicata da ottenere. Un tema classico della psicanalisi da Freud in poi. Luigi Zoja se n'è occupato in saggi recenti, Contro Ismene, Considerazioni sulla violenza (Bollati Boringhieri) e La morte del prossimo (Einaudi), ma è soprattutto ne II gesto di Ettore (uscito sempre per Bollati nel 2000) che ha messo a fuoco l'identità maschile come il terreno di lotta tra principi contrapposti. Lì era appunto la scomparsa del padre, il rifiuto della figura paterna nel suo significato più positivo di educatore alla civiltà, a spiegare il senso di un fallimento epocale, di una regressione del maschio al polo opposto dell'animalità bestiale. Come nella figura mitologica dei Centauri - tema di una relazione che Luigi Zoja ha tenuto venerdì scorso al Festival della mente di Sarzana (fino ad oggi) - riemerge nel maschio contemporaneo il polo rimosso dell'animale fecondatore, incapace di amare e di rapportarsi all'altro e, per ciò stesso, incline alla patologia dello stupro.

Il modello che in questa società riscuote più successo è quello del maschio che compete per conquistare l'oggetto del desiderio prima degli altri rivali. L'esito estremo di questa cultura è lo stupro. Perché è fallito l'altro modello, quello del padre educatore alla convivenza civile?
Questo sarebbe l'altro aspetto di un lavoro sull'identità maschile. A differenza dell'identità femminile in cui la "femmina" e la "madre", le due dimensioni orizzontale e verticale, coesistono da sempre, perché coesistono nella scala evolutiva in tutti gli animali man mano che ci si avvicina agli esseri umani e continuano a coesistere in tutte le civiltà primitive, moderne e postmoderne, quella maschile subisce invece degli sbalzi notevoli. Fondamentalmente la parte paterna comincia con la cultura. Gli animali più vicini a noi non hanno dei veri ruoli paterni, hanno soltanto il maschio che compete per le femmine, si accoppia e non riconosce i propri figli, non se ne occupa. Il padre è un'invenzione culturale. Il patriarcato è fragile, anche dal punto di vista psicologico, proprio perché è una costruzione storica. Nell'identità maschile le due polarità, "maschio competitivo animale" e "padre", non sono ben sintetizzate poiché la figura paterna compare nella scala evolutiva solo in tempi "recenti", nelle ultime centinaia di migliaia di anni. Non è una cosa consolidata da sempre attraverso tutti i passaggi dell'evoluzione come quella femminile. Il padre è un ruolo molto relativo alla cultura. Il patriarcato è stato uno dei punti di forza e, insieme, di debolezza dell'Occidente. Secondo me tutta la questione del patriarcato è una questione di decadenza. Nel Gesto di Ettore criticavo i men studies americani che parlavano tutti della crisi del padre e del patriarcato ma facendola risalire al XX secolo. Io cercavo di notare che già la rivoluzione francese, punto di arrivo dell'Illuminismo, proclama il motto liberté egalité fraternità. Il legame più importante fra gli esseri umani è orizzontale, quello dei fratelli si sostituisce, almeno nelle classi colte, come principio guida a quello del patriarcato. La rivoluzione francese nei fatti comincia a limitare il potere del padre. Fino ad allora la responsabilità dell'educazione ricadeva sotto l'autorità del paterfamilias. Dalla rivoluzione francese in avanti viene spostata invece sullo Stato.

 La crisi del padre ha creato un vuoto nell'identità maschile. Non sarà per questo che l'identità maschile si è sbilanciata verso l'altro modello, verso l'animale competitore?
Nel mio intervento al Festival della mente mi sono soffermato appunto sull'altra polarità maschile, quella animale e selvaggia. Cerco di mettere a fuoco il profilo del maschio aggressivo e violentatore. L'idea mi è venuta osservando al Louvre le figure di Centauri che rapivano le donne. Mi sono incuriosito. La figura mitologica del Centauro non ha compagne, l'unica cosa che fa è rapire le donne. Mi sembrava una metafora mitica di quel che può succedere quando il padre se ne va. Oggi siamo in una situazione del genere. La scomparsa del padre non è avvenuta soltanto al livello delle istituzioni e dello Stato, ma purtroppo anche al livello dell'uomo della strada, delle classi medie e della cultura consumistica. Se dovessimo indagare come è cambiata, ad esempio, la comunicazione dei giovani detenuti nelle carceri, scopriremmo che fino a venticinque anni fa parlavano tutti della ragazza e mostravano sentimenti di nostalgia. Oggi parlano soprattuttodella motocicletta e di oggetti. Anche questo è significativo. C'è un atteggiamento di rapina nei rapporti che si lega molto al consumismo ed è antitetico alla responsabilità paterna, alla figura del padre nel senso positivo e costruttivo di "guardiano della civiltà" che in gran parte abbiamo buttato via con tutta l'acqua sporca del patriarcato.

In genere associamo il maschio violentatore al prodotto più tipico del patriarcato, di un ordine simbolico cioè fondato sul dominio maschile. Qui invece c'è un rovesciamento di questa tesi Scopriamo che il maschio violentatore è il prodotto della crisi del padre. O no?
La componente selvaggia e animalesca del maschile è proprio il non-padre. Il maschio competitivo e rapinatore. Come psicanalista junghiano io parlo di figure mitologiche, non punto l'attenzione sulle persone in carne e ossa. Parlo di archetipi che dominano nella società. Questo maschio competitivo lo vediamo molto attivo nel carattere delle donne in carriera, come si dice oggi.

La televisione che oggi occupa quasi tutto lo spazio pubbhco, non è la principale "fabbrica di archetipi" di questo tipo? Vero. Da un lato, la struttura economica ipercompetitiva della società è un incoraggiamento a sviluppare questa componente aggressiva della propria personalità per avere successo e, da un altro lato, i mass media vendono questo modello come il più adatto in una vita consumistica.

Non per fare del riduzionismo volgare però non crede che i casi di stupri oggi siano figli di questa identità maschile non più capace di fare da padre? E' molto difficile dire se gli stupri siano aumentati. Le statistiche possono aiutarci solo fino a un certo punto. Tra i risultati negativi dello stupro è proprio di far tacere le persone, di creare un clima di inibizione, trauma e vergogna. Però è importante che se ne parli ed è importante, a mio giudizio, metterlo in relazione con tutto il problema storico dell'identità maschile. Date queste due polarità, il maschio precivile e il padre, con lo sprofondare del padre - come nel gioco della bilancia - sale invece l'altro.

Però così sembra che non il patriarcato c'entri qualcosa con lo stupro, quanto invece - e paradossalmente - la sua crisi. Ma così si dimentica che il patriarcato è un rapporto di dominio del maschile sul femminile. O no? La direi in un altro modo. Il patriarcato è già una struttura sociale o, addirittura, politica. Preferisco parlare di crisi dell'identità paterna. C'è un ritorno a un'identità maschile di tipo pre-paterno. La scomparsa del padre fa parte di una lenta decadenza. Il punto più alto è stato toccato in Grecia e nell'antica Roma. Dopo di allora il patriarcato è vissuto sulle glorie passate ma in realtà ha imboccato la strada di una lenta crisi. L'Illuminismo - come dicevo prima - critica il patriarcato. E il primo a scrivere del mito dell'Edipo non è Freud, ma Voltaire. Il padre va in lenta decadenza. Ultimamente anche la struttura economica della società tende a far emergere l'altra polarità maschile, cioè il maschio competitivo. Anche questo è un altro aspetto della scomparsa della padre.

C'è da dire però che la scomparsa del padre non ha prodotto una grande riflessione. A differenza di quanto è avvenuto con il femminismo non c'è stato un approfondimento sull'identità maschile e i suoi cambiamenti. O no? Non c'è stata una grande riflessione. Infatti mi stupisce il relativo successo del mio libro, Il gesto di Ettore che continua a essere venduto nonostante sia pubblicato da una casa editrice abbastanza specialistica, Bollati Boringhieri. Conosco gruppi di uomini ma fanno abbastanza poco. In America, invece, di riflessioni ce ne sono anche troppe, seconde me scivolano sul sentimentale. In Europa ci lavorano sopra gruppi un po' più colti ma rimangono comunque nelle nicchie della società. Più in là queste riflessioni non vanno.

Insomma questa società ha la sua base ideologica e materiale nell'archetipo del maschio fecondatore, animale e competitore. Vero? Per questo la metafora del Centauro corrisponde al nostro tempo. E' completamente incapace di amore, sa solo rapire. Il ratto significa sia rapimento che stupro. Il Centauro conosce solo questa modalità di rapporto col femminile. Secondo me è una delle conseguenze del consumismo e dei mass media. Anche se poi ci raccontano che i mass media narrano storie hollywoodiane in cui vincono sempre i buoni. Non è vero per niente. Nel messaggio hollywoodiano vince l'impazienza. Non la capacità educativa, non la pazienza pedagogica, bensì la figura del maschio che va subito allo scopo. Simbolicamente il maschio che rapisce la femmina e non si impegna in un rapporto.

Da un'intervista a Luigi Zoja psicanalista e presidente dell'associazione analisti junghiani, in seguito ad una sua relazione al Festival della mente di Sarzana.

Vera Innocenti

martedì 19 giugno 2012

E IL MIO EX, INIZIO' AD ACCUSARMI DI PAS.


Il mio ex marito è un uomo violento. Mi ha picchiata la prima volta, quando ero incinta del primo figlio e ha continuato a farmi violenza per anni, anche dopo la nascita del secondo bambino.

Dopo anni di aggressioni verbali e fisiche, umiliazioni mi sono rivolta ad un legale e chiesi la separazione e fu l'apoteosi della violenza e quindi lo denunciai. Fu allontanato dalla casa familiare con un procedimento del tribunale, ma ha continuato con le violenze. Mi ha molestata, perseguitata, terrorizzata in ogni modo incurante di coinvolgere i bambini nel suo massacro.

Pur nel terrore, iniziai a prendere consapevolezza del problema e mi resi conto purtroppo che non ero sola a vivere questa tragedia tra le mura domestiche, ma tante e tante altre donne erano vittime dei loro compagni/mariti!! 

Iniziai ad informarmi sul problema e scoprii un fenomeno, quello della violenza maschile sulle donne così tanto diffuso ma anche così tanto sottovalutato. 

Con la conoscenza e l'informazione e di conseguenza la presa di coscienza, cominciai a capire e a reagire spiegando meglio tutto quello che avevo subito insieme ai miei figli in tutti gli anni di matrimonio. Raccontando all'avvocata, alle forze dell'ordine quando intervenivano, ai servizi sociali, come fosse un volermi liberare da tutto il dolore e la paura che ho dovuto tenere dentro di me per trovare la forza per ribellarmi ed andare avanti.

Ma lui,il mio ex marito, come sempre ha fatto in vita sua continuava a falsare ogni mia parola, inventando menzogne per screditarmi, manipolando tutto e tutti.


E pensare che quando l'ho conosciuto, ero appena un'adolescente e lui di qualche anno più grande mi sembrava così "uomo", così saggio e premuroso. Poi dopo qualche tempo la gelosia....tremenda gelosia...ma nella mia mente di adolescente immatura e male informata/educata da una cultura antiquata, vedevo questo suo attaccamento morboso e le sue reazioni impulsive, come "Amore"...................  Arrivai con molti dubbi e molta confusione al matrimonio ma ero convinta che lui mi amasse. 
Ma ahimè, non era così!

Per non parlare del rapporto coi figli... inesistente! Io dovevo occuparmi di tutto: figli, la gestione totale della casa, spese, pulizie, ecc. Essere la brava madre/moglie/amante ecc ecc.
Improvvisamente però, dopo vari tentativi per farmi desistere dal chiedere la separazione (minacce, botte, persecuzioni varie) gli "venne in mente" che era padre di due figli. Ed ecco che iniziò la sua vendetta, usando i bambini.

Iniziarono i processi a suo carico sia lui che il suo degno avvocato maschilista e misogino vomitavano volgarità e menzogne infamanti su di me, accusandomi di fare "false denunce" di violenza per "liberarmi" del marito, di "provocarmi da sola" i lividi per incolparlo di picchiarmi. 
Vorrei che qualcuno mi spiegasse come potevo farmi da sola e in più episodi, degli enormi lividi su tutto il corpo, la bocca rotta, un occhio pesto, lo strappo di un lobo dell'orecchio, la frattura di alcune costole e altro ancora......

Arrivò persino a denunciarmi di fare io violenza a lui! Inoltre mi perseguitava in ogni modo piombando a casa a tutte le ore, di giorno e di notte, sfondando le porte suonando il campanello all'infinito e così tutti i telefoni di casa e cellulari per distruggerci per devastare la mente a me e ai bambini.
Per non parlare degli inseguimenti in auto con tentativi pure di speronamento e non importava che avessi i figli a bordo.

E pensare che nei progetti di ragazzina sognavo una famiglia serena, figli che accudivo con amore insieme al mio uomo che sarebbe stato per loro un esempio..........Ma quale esempio ha dato questo uomo violento e brutale?? Volevo insegnare ai miei figli innanzi tutto il rispetto per se stessi e per gli altri, l'aiuto per i più deboli e la lotta contro la violenza e i soprusi... Volevo insegnare la pace e l'amore per la vita!! 

Ma ero un'illusa. Cosa hanno imparato invece i miei figli? Nulla di tutto quello che speravo per loro, solo tanta paura, angoscia, dolore, sofferenza, rabbia e odio per un uomo che essendo il loro padre doveva dare loro ben altro che farli assistere e anche far subire pure a loro tanta violenza.

Il giudice quindi vietò al mio ex di avvicinarsi a casa, ma per assurdo gli permise di vedere i figli, ma i bambini terrorizzati non volevano andare con lui e le poche volte che si convincevano ad andare col padre, tornavano a casa ogni volta devastati mentalmente da tutte le cattiverie, le volgarità, le minacce di morte a me e a loro stessi dando ovviamente la colpa di tutto a me, che avevo voluto "distruggere" la famiglia chiedendo la separazione.

Ecco allora che il brav'uomo del mio ex marito iniziò ad accusarmi di Pas !!
Lui bravissimo manipolatore raccontava a tutti di essere una vittima di quella moglie malefica e fedifraga, che voleva solo appropriarsi dei suoi beni (come per esempio la casa acquistata anni prima con i soldi di entrambi!) 

Ma la cosa più incredibile è che a credergli era l'assistente sociale e la neuropsichiatra infantile che seguivano il mio caso.
Era tremendo, potevo dire in qualsiasi modo il dramma che stavamo vivendo, portando loro le denunce fatte, i certificati medici, le testimonianze di vicini di casa, ma nulla. Venivo accusata di "allontanare" i figli dal loro padre!! Nemmeno i racconti fatti dai ragazzini servivano, accusavano sempre me di manipolarli e di fare loro del male!! 
Assurdo e angosciante, come sbattere continuamente addosso ad un muro di gomma!

Ed intanto "lui" continuava con la sua violenza, anzi si sentiva autorizzato, dato che i servizi che dovevano tutelare me e i figli, non esistevano anzi....mi erano contro!!

Il mio ex "esternamente" sembrava la persona più mite e tranquilla, recitava benissimo la parte del povero uomo bistrattato e quindi non si poteva pensarlo capace di tutto ciò che io raccontavo. E io esasperata e terrorizzata da tutto questo massacro a volte potevo per disperazione e/o per rabbia alzare la voce, parlare in fretta e quindi sembrare "un aggressiva" come fui descritta dall'assistente sociale in una sua relazione. Credevo di impazzire!!!

Io ero l'aggressiva e lui il povero padre, che invece usava i figli per vendicarsi su di me, che li ha devastati psicologicamente condizionandone la crescita, creando in loro paure ed insicurezze, insonnia, problemi di concentrazione e di conseguenza problemi con la scuola.

Non conoscevo la PAS (Parental Alienation Syndrome) mai sentita nominare, eppure venivo incolpata di questa cosa! E l'assistente sociale mi accusava di chiamare apposta ogni volta la polizia per non far stare i bambini col padre....ma se ogni volta che lui arrivava picchiava me e pure i bambini se tentavano di difendermi??!! Un vero incubo!

Allora ho cercato notizie in internet e mi si è aperto un mondo sconosciuto e paurosamente vasto su questa Sindrome di Alienazione Parentale.  Oltretutto ho scoperto che questa cosiddetta sindrome è falsa, non esiste, non è una diagnosi e non è menzionata nel Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali è solo una finta malattia inventata dallo psichiatra americano R.Gardner e che anzi dichiarava che "non c'era nulla di male nella pedofilia incestuosa o meno"!!
Orrore!!! Come?? Ho letto bene??!!! Questa assurda sindrome inventata per coprire i padri abusanti viene usata contro le madri??

E no mi sono detta! Devo lottare con tutte le mie forze e lotterò per far conoscere a tutti il pericolo che le donne e i loro bambini stanno correndo. Le donne e i bambini devono essere protetti e tutelati da queste malvagità.  Le donne e i loro figli non devono essere ancora una volta vittime di questa voglia di dominare e di sottomettere, anche con la violenza in ogni sua forma, di questi padri padroni e predoni.

Lotterò sempre per i miei figli, per dare loro un pò di serenità, per ridare loro fiducia nella vita e nelle persone, anche se le "ferite" profonde che hanno nell'anima difficilmente si rimargineranno e nessuno potrà mai ridare loro gli anni di vita rubati dalla violenza di colui che doveva amarli, proteggerli ed essere da esempio... il loro padre.


Vera Innocenti
(Esperienza vissuta)

giovedì 3 maggio 2012

FEMMINICIDI. Ci indignamo, ci limitiamo a scuotere la testa e poi? Cosa si fa??




E' una guerra! Nella famiglia prospera violenza e sopraffazione". "La nostra cultura è patriarcale e maschilista"
Non è  facile trovare spiegazioni ai dati del Consiglio d'Europa: la prima causa di morte delle donne tra i 16 e i 44 anni, nel mondo e in Europa, è l'aggressione violenta da parte dei loro compagni di vita. Conferma che deriva da una ricerca dell'Osservatorio Criminologico e Multidisciplinare sulla violenza di genere.


C'è molta superficialità e menefreghismo a riguardo. Le notizie sulle uccisioni delle donne vengono ascoltate distrattamente dai vari  telegiornali  e in molti pensano che i dati non siano reali o che siano "gonfiati". Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire e di chi non vuol credere che purtroppo questa è la realtà.

Donne uccise non dalla guerra o da malattie!

Donne uccise, deturpate, ferite nel fisico e nella psiche dal compagno, dal figlio, dal corteggiatore respinto o da un  qualsiasi altro familiare di sesso maschile come se lei fosse un "qualcosa che appartiene" all'uomo.

Ancora oggi, spesso, la donna viene considerata di proprietà dell'uomo che l'ha amata, che l'ha sposata, che la desidera e la corteggia,  o che ha o ha avuto un legame affettivo. Può essere un figlio, un fratello, un padre, un marito, un compagno di una breve relazione. E' la dura realtà: Ci si indigna per molti fatti di cronaca, ma    fa altrettanto indignare la violenza sulle donne, che spesso le porta anche a morire? 

La violenza sulle donne è anche: stupri, sopraffazioni, sfruttamento del corpo femminile, mutilazioni dei genitali nelle bambine, "condanne" per le adultere che vengono lapidate a morte, negazione dei diritti.

Ci si indigna o ci si limita a scuotere la testa e a dire che il mondo è pieno di pazzi da internare?

La gravità delle violenze o dell'uccisione  di una donna viene sempre sminuita se non addirittura viene colpevolizzata la stessa vittima per giustificare il carnefice: lui che non sopporta l'abbandono; la gelosia (ovviamente   causata dalla vittima) che lo fa impazzire; lui che viene "provocato" (dalla vittima ancora) e non riesce a controllare i propri impulsi; lui che la vuole punire per non avergli obbedito; lui che vuole "lavare l'onta"; lui che non accetta una nuova relazione di lei e quindi "o solo mia o di nessun altro.

E' una guerra, una guerra mondiale, perchè è in ogni parte del mondo, nei paesi progrediti e moderni e non, in paesi ricchi e in quelli poveri, in ogni etnia e appartenenza a religiosa. E' la guerra di genere! Femminicidi, stupri, violenze, maltrattamenti, violenze psicologiche, violenza economica, abusi di maschi contro le donne.

Spesso in questa guerra assurda vengono coinvolti anche i figli... figli grandi o piccoli, figli uccisi dai loro stessi padri per vendetta contro la compagna, oppure figli che assistono alle violenze che il padre infligge alla loro madre, figli perseguitati, umiliati, picchiati.

Non si può dire "beh...io non c'entro"- TUTTI DOBBIAMO SENTIRCI COINVOLTI! QUESTO E' UN CRIMINE CONTRO L'UMANITA'  
La prima causa di morte delle donne è la violenza subita in famiglia, ma è possibile questo? La famiglia che dovrebbe essere luogo d'affetti, d'amore, di protezione, di comprensione.

Si parla poi falsamente di "Pari opportunità", della parità tra i sessi, nel mondo del lavoro, nella politica, ma i  maschi, solitamente occupano la stragrande maggioranza dei posti di potere. 
In politica, come in ogni ambito della società attuale, il maschilismo sembra essere superato, ma in realtà è sempre il maschio che cerca di tenere per se il potere di dare e di togliere a proprio piacimento. 

La nostra società è solo apparentemente progredita, almeno in ambito di parità tra i sessi; o meglio, noi siamo convinti che è progredita perché così spesso sentiamo dire. I dati sconvolgenti confermano, che dietro la facciata di rispetto per le donne decantato dalle società "moderne" si nasconde un subdolo maschilismo che mantiene "mimetizzandolo" uno stato di controllo e di repressione del mondo femminile, soprattutto in ambito familiare. 

Questi sistemi sono tanto nascosti e tanto mascherati da non essere evidenti, ma comunque sono causa di sofferenze e morte: come sempre, come un tempo, forse anche più di tempo fa. Oggi risulta ancora difficile denunciare tale stato di cose. Spesso una donna che parla di maltrattamenti, non viene creduta, viene accusata di mania di persecuzione, di vittimismo, di opportunismo. Spesso tale comportamento maschile viene attribuito a uomini appartenenti alla religione islamica o a uomini di scarsa cultura o appartenenti ad un ceto sociale basso, o a uomini con disturbi mentali, alcolisti e drogati.

In realtà non è per niente così! La violenza maschile sulle donne è un fenomeno trasversale che colpisce tutti i ceti sociali, non c'entra il livello d'istruzione, comprende ogni cultura e religione e solo una minima percentuale di uomini maltrattanti hanno disturbi mentali o problemi di alcolismo e droga.

Si dice che esista nel maschio un'arcaica "invidia" per il "potere" delle donne di dare la vita, quindi in risposta gli uomini tolgono loro la vita uccidendole. Così fu nel passato quando il maschilismo e il patriarcato temevano la femmina e perciò ci furono le persecuzioni, la caccia alle streghe, le torture, le privazioni. 

"Il femminismo è superato è cosa del passato", ipocritamente viene detto questo, come a voler dire "Avete protestato per la parità, ora ce l'avete basta fare le esaltate parlando di negazione di diritti, di discriminazione!. I maschi hanno accettato le vostre proteste, ora da brave tornate al vostro ruolo di sempre. 

Ancora oggi ci sono molti pregiudizi sulla violenza domestica, esiste ancora la vergogna e la paura che "si sappia in giro", è diffusa la convinzione e la rassegnazione che "tanto le cose da sempre vanno così e non si possono cambiare" e c'è il terrore delle eventuali  ritorsioni dei maschi e la paura di non essere ascoltate e aiutate. 

Ed è devastante anche quella "minima" violenza, sistematica, continua, quella violenza che si consuma nel chiuso delle mura domestiche, dentro le famiglie. Una violenza mascherata, una violenza che distrugge la psiche e spesso causa la morte. 

Una violenza che dovrebbe farci inorridire! E' questo il progresso, l'evoluzione della specie umana? O stiamo invece regredendo?

E' troppo facile e da vigliacchi alzare le mani su una donna, il voler "dimostrare" il proprio potere con la forza sapendo di non rischiare praticamente nulla, perchè la donna non può competere fisicamente con un uomo.

E più stretto è il legame tra l'uomo e donna e più alto è il rischio che lei corre, sempre per il senso di possesso che il maschio ha sulla femmina.

Ci sono per fortuna anche uomini che non picchiano e rispettano le donne, sicuramente perchè hanno avuto un'educazione, un insegnamento in tal senso.

Ecco perchè è importantissimo crescere i bambini fin da piccolissimi insegnando loro, anche con l'esempio soprattutto, che le donne vanno rispettate e questo dovrebbe essere insegnato anche nelle scuole a partire dalla scuola materna.

Vera Innocenti