martedì 29 novembre 2011

DONNE VITTIME DI UOMINI VIOLENTI.. E NON SOLO...

La famiglia, la casa vengono viste come luoghi di sicurezza, della cura, della comprensione e del calore degli affetti, mentre l'esterno, la strada è vista come il luogo del pericolo e del rischio. Questa visione è fortemente radicata nella nostra cultura e ha contribuito al permanere di molti stereotipi sul fenomeno della violenza contro le donne.

Purtroppo questi stereotipi e luoghi comuni sono molto diffusi e creano confusione e possono ostacolare gli aiuti e gli interventi necessari creando anche grosse difficoltà per le vittime di violenza domestica nel parlarne e chiedere aiuto.

Questo modo di pensare purtroppo è molto diffuso e viene usato in modo negativo e pregiudizievole, allontanando l'attenzione sul problema e che potrebbe essere cambiato con l'Educazione e l'Informazione.

Vediamo gli stereotipi e i luoghi comuni che purtroppo permangono sulla violenza domestica:

1 - "Le donne sono vittime di violenza da parte di uomini estranei che non conoscono"

Risultano invece più pericolosi per le donne la casa e gli ambienti familiari; gli
aggressori principalmente sono i loro partner, “ex” partner o altri uomini conosciuti: parenti, amici, colleghi, insegnanti, vicini di casa.


2 - "La violenza domestica è un fenomeno poco diffuso"

La violenza domestica è un fenomeno sociale molto diffuso e nascosto.
Da ricerche risulta che moltissime donne hanno alle spalle storie di maltrattamenti ricorrenti.
La scarsa disponibilità all’ascolto da parte delle istituzioni, (forze dell'ordine, servizi sociali ecc.) e a volte di amici, conoscenti e parenti, la legittimazione sociale della violenza, la mancanza di risorse, la quasi impunibilità degli aggressori contribuiscono ancor oggi a mantenere sotto silenzio questo fenomeno.


3 - "La violenza domestica è presente soltanto fra le classi più povere o culturalmente e socialmente svantaggiate"

La violenza domestica è un fenomeno trasversale che interessa ogni strato
sociale, economico e culturale, senza differenze di razza, di religione o di età.


4 - "La violenza domestica è causata dall’assunzione di alcool o droghe"

L’alterazione dovuta all'assunzione di alcool o droghe viene spesso usata come giustificazione della violenza esercitata. Alcolismo e tossicodipendenza non sono mai
la causa diretta della violenza. Il legame fra uso di sostanze e comportamenti
violenti, quando ci sono, è molto complesso e mediato da fattori culturali nel
ritenere che l’alcool ha un effetto disinibente. E’ stato dimostrato che la maggior parte degli episodi di violenza, quando il partner violento è alcolista, si
verifica in assenza di consumo di alcool. Molti alcolisti o consumatori abituali
di droghe non sono violenti con le loro partner.

5 - "La violenza domestica non ha conseguenze sulla salute delle donne"

La violenza domestica è stata definita dagli esperti come
un problema di salute pubblica che incide gravemente sul benessere fisico e psicologico delle donne e di tutti coloro che ne sono vittime, molto spesso i figli anche molto piccoli.
Da una stima risulta che uno su cinque giorni di salute persi dalle donne in età riproduttiva sia dovuto a stupro e violenza domestica.


6 - "La violenza domestica è causata da una momentanea perdita di controllo"

La maggior parte degli episodi di violenza che si verificano all’interno della
famiglia sono premeditati e sistematici. Il concetto di "perdita di controllo" è smentito degli stessi aggressori che spesso dichiarano che sì da un lato la violenza sfugge al loro controllo razionale, dall'altro ribadiscono che l'uso della violenza è "giustificato" dal comportamento delle donne e messo in atto al fine di ottenere certi effetti su di loro.


7 - "I partner violenti sono "malati di mente" persone con problemi psichiatrici"

La credenza che il maltrattamento sia collegato a manifestazioni di malattia mentale fa sì che lo si tenga lontano dalla nostra vita e a pensare che sia un problema che non ci riguarda direttamente. In realtà è solo una minima percentuale di uomini maltrattanti ha una patologia psichiatrica.
La grande espansione della violenza domestica conferma che non si tratta di una conseguenza legata a malattie mentali o disturbi collegati.


8 - "Gli uomini violenti hanno subìto maltrattamenti nell’infanzia".

L'avere subìto violenza nell’infanzia non comporta automaticamente il
diventare violenti in età adulta. La relazione fra questi due fenomeni, quando
c'è, va valutata caso per caso. Esistono infatti uomini maltrattanti che non hanno mai subito o assistito a violenza durante l’infanzia, sia uomini vittime
di violenza nell'infanzia, che non ripetono tale modello di comportamento.


9 - "Alle donne che subiscono violenza domestica in fondo "piace" essere picchiate, altrimenti se ne andrebbero di casa"

Sono la paura che provano le vittime e la paura delle conseguenze, la dipendenza economica, l'isolamento, la mancanza di un posto dove andare, la colpevolizzazione sociale e spesso anche da parte della stessa famiglia di origine, alcuni dei numerosi fattori che rendono difficile per le donne l'allontanarsi dalla situazione di violenza.


10 - "Anche le donne sono violente nei confronti dei loro partner"

La maggior parte delle aggressioni e di omicidi compiuti dalle donne nei confronti del partner si verifica a scopo di autodifesa e in risposta a gravi situazioni di minaccia per la propria vita. Salvo il caso degli omicidi, la violenza femminile, quando esiste, si configura in modo diverso e raramente assume le caratteristiche di sistematicità e lesività che invece caratterizzano il maltrattamento maschile.



La violenza domestica è la violenza che avviene all’interno della casa e viene agita da persone conviventi e nella maggior parte sono uomini: padri, mariti, fidanzati, compagni, ex partner, fratelli, figli.

La violenza domestica si presenta generalmente come una combinazione di violenza fisica, sessuale, psicologica,economica e anche spirituale.

La violenza fisica possono essere calci, pugni, schiaffi, spintoni, bruciature, tentativi di strangolamento, accompagnati a volte dall’uso di armi proprie e improprie con conseguenti contusioni, ematomi, ossa rotte, lesioni temporanee o permanenti.

La violenza psicologica può essere fatta con minacce di botte e aggressioni e minacce di morte, oppure la donna viene ridicolizzata e presa in giro anche di fronte a terze persone, insultata, denigrata come incapace,umiliata oppure trattata come malata di mente.

Alla donna inoltre può essere negata la possibilità di uscire, di telefonare, di incontrare i propri amici o familiari, di disporre di risorse economiche per sè e per i propri figli; può essere costretta a rapporti sessuali non voluti, a vedere o a partecipare alla creazione di materiale pornografico.

Si tratta di forme di violenza diverse, ma fra loro strettamente connesse. Esse
vengono usate per controllare e condizionare le azioni della donna. Aggressioni
fisiche e sessuali hanno forti conseguenze emozionali e psicologiche e la violenza psicologica può produrre forme significative di deterioramento fisico.
Frequentemente gli episodi di violenza si ripetono nel tempo e tendono ad assumere forme di gravità sempre maggiore. Difficilmente una donna che chiede
aiuto è stata picchiata sporadicamente o una sola volta.

La violenza può essere presente sin dall’inizio della relazione della donna con il
partner, oppure intervenire dopo parecchi anni di vita in comune, in occasione
della nascita di un figlio o indipendentemente da eventi particolari.

La violenza domestica è trasversale, ne sono vittima donne che appartengono a
gruppi etnici diversi, di diversa estrazione sociale, culturale ed economica.

Possono essere a rischio di violenze inoltre donne anziane, disabili e/o con disagio psichico dal proprio partner, o anche da parte di coloro che svolgono funzioni di cura.


Le conseguenze della violenza domestica sulle donne.

Subire violenza è un’esperienza molto traumatica che produce effetti diversi a seconda delle persone che ne sono vittima. Ciascuna donna reagisce ad essa in modo diverso;
tutte soffrono della situazione di isolamento e indifferenza sociale che
da sempre circonda questo fenomeno

Conoscere le conseguenze della violenza può aiutare a capire perché una donna si comporta o reagisce in un certo modo

Non esiste una tipologia della donna maltrattata. Passività, debolezza, incapacità di prendere decisioni sono fra gli effetti più frequenti della violenza. Altre volte l’assunzione di alcool o droghe, la minimizzazione o la negazione del problema possono essere strategie che le donne adottano per cercare di sopravvivere alla sofferenza e al dolore di una vita personale e familiare distrutta.

La violenza domestica può annientare il senso di sicurezza di una donna e la sua
fiducia in se stessa. Per lei non c’è più possibilità di sentirsi bene e di controllare la situazione.
Questi sentimenti vengono rafforzati dall’atteggiamento del partner violento che continua a ripeterle che se lei fosse una madre, e un’amante migliore; se fosse più bella e più sexy lui non l’avrebbe mai picchiata.

L’effetto di tutto questo sulla donna è un desiderio disperato che la violenza finisca. Forse vuole lasciare la casa. Forse vuole ancora salvare la relazione con il partner.
La sua autostima è molto bassa, si sente piena di dubbi e colpevole; ha paura che nessuno le creda, non sa che cosa può fare e dove andare. Ha paura che le reazioni violente del partner diventino ancora più forti.
Le conseguenze della violenza domestica possono essere molto gravi. Le possibilità di evitare un’escalation dipendono molto dalle risposte che una donna
incontra nel momento in cui decide di chiedere aiuto all’esterno, spesso dopo
aver fatto il possibile e l’impossibile per cercare di risolvere la situazione da
sola.

In generale, le donne che subiscono violenza domestica, rispetto a quelle che
non si trovano in questa situazione, hanno condizioni di salute fisica e mentale
peggiori.


a) Conseguenze di carattere fisico:

ferite di vario genere e loro esiti: bruciature, tagli, occhi neri, commozione cerebrale, fratture danni permanenti: danni alle articolazioni, perdita parziale dell’udito o della vista, cicatrici secondarie dovute a morsi, bruciature , uso di oggetti taglienti aborti.

b) Conseguenze di carattere relazionale e materiale:

isolamento sociale e familiare, perdita di relazioni significative,

assenze dal lavoro perdita del lavoro

perdita della casa e del livello di vita precedente


c) Conseguenze di carattere psicologico

paura, ansia per la propria situazione e quella delle/i proprie/i figle/i
sentimenti di vulnerabilità, di perdita e di tradimento
perdita di autostima
autocolpevolizzazione
disperazione e senso di impotenza
sintomi correlati allo stress (sensazione di soffocamento, iperattività
del sistema gastrointestinale)
disturbo post-traumatico da stress: ipervigilanza (ansia, disturbi del
sonno, difficoltà di concentrazione), ri-esperienze del trauma (flash-
back, incubi), condotte di evitamento
depressione
ideazione suicidarie.



Quando una donna chiede aiuto è utile ricordare che:

ha già cercato aiuto più volte prima di ricevere una risposta appropriata e di supporto

viene aggredita più e più volte prima di cercare l’aiuto delle Forze dell'ordine

cercare aiuto all’esterno è un passaggio di un lungo percorso

familiari, amici e parenti sono generalmente i primi soggetti a cui le donne chiedono aiuto

una donna sceglie la relazione, non la violenza

non c’è mai nessuna giustificazione alla violenza
le strategie di uscita dalla violenza di una donna riflettono le circostanze in cui si trova, la sua situazione specifica

lei conosce i suoi bisogni di sicurezza e l’autore della violenza meglio di qualsiasi altro


Perché non lascia il partner violento?

Situazione di pericolo
Quando una donna decide di lasciare il partner violento la situazione tende a diventare più pericolosa. Dati americani dimostrano che il rischio di essere uccise è due volte maggiore per le donne maltrattate che lasciano il partner

Salvare l’amore e la famiglia
Una donna può decidere di mettere in atto una serie di strategie per tentare di salvare la relazione, perché spinta da convinzioni culturali e religiose, da un intenso attaccamento affettivo, dal sogno di un amore e di
un matrimonio felice

Mancanza di sostegno esterno
La famiglia di origine non offre aiuto e sostegno, le Forze dell’Ordine e
i Servizi Sociali minimizzano la violenza, non offrono risorse sufficienti,
colpevolizzano la donna

Verifica delle risorse esterne e dei cambiamenti
Una donna può chiudere e riaprire la relazione con il partner violento più volte:

- per verificare la possibilità di un cambiamento effettivo del partner
- per valutare oggettivamente le risorse interne ed esterne disponibili
- per verificare la reazione delle/i figlie/i alla mancanza del padre

Autobiasimo
Una donna può ritenersi responsabile della violenza come strategia di sopravvivenza finalizzata a sentirsi in grado di controllare la situazione:

“se sono io a provocare la violenza, farla cessare dipende da me



Vera Innocenti

martedì 9 agosto 2011

LE "VERE POVERE" SONO MADRI SEPARATE.



Ultimamente sempre più spesso in varie trasmissioni Tv o anche nei vari TG si sentono notizie, parlando di separazioni, sullo stato econominco dei padri separati. A volte viene intervistato anche un "esperto" del problema, che parla per conto o in difesa di quei padri che fanno di tutto per togliere i figli alle madri.

E ovviamente si sente solo quella versione e la descrizione che viene fatta della madre è di una belva minacciosa, di un demone pericoloso per la vita dei figli che desta grande preoccupazione e timore per la loro esistenza. Che li manipola per metterli contro al genitore che è vittima di PAS, termine molto usato attualmente.

Questi padri invece strumentalizzano i figli e ne reclamano il posesso come fossero esclusivamente di loro proprietà, ma per uno scopo ben preciso, avere il controllo sulla ex, per metterla in difficoltà e soprattutto per punirla.

Le associazioni dei "padri separati", nel loro armamentario contro le donne hanno in "dotazione" anche, il voler dimostrare le varie situazioni drammatiche in cui sono costretti alcuni di loro: padri separati tristi e depressi, ridotti sul lastrico che vanno ad elemosinare un pò di cibo alla Caritas, che hanno perso il lavoro, la casa.....Ovviamente tutto è avvenuto per "colpa" delle ex mogli, avide che hanno ottenuto ingiustamente, diritti non dovuti.

Ed invece per anni le donne si sono date da fare senza mai lamentarsi come si sente fare invece, sempre più spesso dai padri separati.

Per loro le vittime sono solo gli uomini e i veri carnefici sono solo le donne....e tutte le donne!

Diciamo che il fine è sempre lo stesso: i padri separati non vogliono pagare gli alimenti per il mantenimento dei loro figli. Preferiscono piuttosto togliere la madre ai bambini, vederli finire chiusi in comunità, chiedere consulenze e perizie e usarle come arma contro la loro ex compagna, per dimostrare che lei non ha le capacità per accudire e crescere i figli.

E quando succede che il giudice decide per l'affidamento dei figli alla madre, ecco allora si andrà a costruire una giustificazione morale e sociale che autorizzerà i padri separati a non dare un soldo per il mantenimento, anche difesi da certi avvocati senza scrupoli, che non pensano in quali condizioni si ridurrà la donna.

A questi padri separati viene ora data molta visibilità dai media e sono anche molto appoggiati e il fenomeno è in aumento. Inoltre godono anche della disponibilità da parte di professionisti, giornalisti, conduttori Tv, che sostengono la loro causa. E questi uomini, si sentono forti ed in diritto di portare avanti i loro obbiettivi e sono molto agguerriti e guai a far notare loro, dall'altra parte, la difficile condizione delle donne separate.

Viene però omesso che le donne separate sono costrette a vivere in condizioni economiche disastrose, che spesso per avere un tetto sono costrette a tornare a vivere con i loro genitori, ad adattarsi a fare qualsiasi lavoro, anche mal retribuito pur di dare da mangiare ai loro figli, sperando sempre che un lavoro lo trovino in questa società maschilista, che privilegia gli uomini e discrimina le donne madri o che saranno delle future madri, oltre che la dura realtà della scarsissima offerta lavorativa al femminile.

Le donne non trovano lavoro, non c'è possibilità di reddito. E quelle che un lavoro ce l'hanno, ci sono molte probabilità che lo perderanno, perchè le donne sono le prime ad essere licenziate! Anche perchè...hanno di meglio da fare a casa! E la situazione si fa sempre più preoccupante. Le donne non vengono valorizzate in nessun settore della nostra società.


La donna che cerca una sua autonomia viene ancora oggi pesantemente colpevolizzata di voler "sfidare" l'uomo, quando invece potrebbe starsene tranquillamente a casa a fare le faccende domestiche, accudire i bambini e cucinare, in totale dipendenza dal marito..e tutto così ..andrebbe meglio! Invece di trascurare casa e famiglia per andare a lavorare! E questo che viene visto come il male della società ed è purtroppo diffusissima questa mentalità!

I ruoli invece andrebbero condivisi nella coppia, l'accudire i figli e tutta l'organizzazione della casa e della famiglia andrebbe equamente suddivisa e non lasciato tutto sulle spalle della donna.

La ricerca di autonomia della donna non è competizione con l'altro sesso, dovrebbe essere un traguardo per lei per non dover dipendere dall'altro. Invece questa ricerca di indipendenza viene vista come la causa di tutti i mali e viene vista come la causa delle incomprensioni in famiglia, delle separazioni e si arriva persino a "giustificare" certi maschi che fanno violenza sulle donne.

Non passa giorno oramai, che una donna non subisca violenza da parte di un uomo. Tantissime donne ogni giorno sono vittime di violenza fisica, psicologica, sessuale. Vengono usate, abusate, torturate, mutilate. Donne che vengono molestate, inseguite, perseguitate, uccise dagli ex.

Ma tutto questo non accadrebbe se la donna facesse "la sua parte" di compagna sottomessa ed ubbidiente.....Perchè questi "poveri uomini", sono "spaventati, confusi, provocati".. dall'intraprendenza femminile e quindi è "normale" che reagiscano con aggressività! Perchè, secondo la diffusa mentalità maschilità è la donna che se la cerca, è la donna che non capisce l'uomo. E ancora una volta la donna viene vista come un nemico e criminalizzata.

Le donne vogliono vivere, avere libertà, consapevolezza e autonomia senza dover essere sottomesse a nessun uomo.
Per i maschi è difficile comprendere è che per le donne ora la vita famigliare non è più solo "dovere e sacrificio" e non per questo debbono essere demonizzate.

E se si decide di vivere a fianco di un'altra persona che sia per amore e non per dipendenza economica. E gli uomini dovrebbero lottare per le donne ed insieme a loro perchè possano ottenere stessi diritti e opportunità. Perchè una donna che entra in maternità possa aver garantito il posto di lavoro e che il progetto di maternità non sia più fonte di discriminazione.

Perchè alla donna venga corrisposto un riconoscimento economico e anche successivamente una pensione per la vita che ha sacrificato per la cura dei figli, del marito e della casa, per l'assistenza ai parenti anziani, per la totale e non semplice gestione, dell'impresa che è la famiglia.

Al giorno d'oggi la vecchiaia della donna che ha dedicato tutta la sua vita alla famiglia è sicuramente drammatica, perchè non gli viene corrisposto nulla e questo è ingiusto.


Gli uomini dovrebbero sostenere e favorire le donne per raggiungere finalmente il riconoscimento del valore che hanno.

Le donne non devono più essere costrette a restare per forza con uomini con i quali non vogliono più stare. Per questo lo stato dovrebbe garantire un reddito adeguato al lavoro svolto in famiglia e così dare le giuste possibilità alle donne di emanciparsi e non costringerle ad elemosinare una volta separate o costrette a trovare un altro partner per avere un minimo di sostentamento.

Bisognerebbe anche educare i giovani maschi ad amare e rispettare le donne e non sottometterle e schiavizzarle per avere potere. Andrebbe fatto a scuola fin dai primi anni.

E le donne vittime di violenza domestica dovrebbero aver garantiti tutela e aiuti, sostegno psicologico e consulenza gratuita dai vari professionisti (avvocati, forze dell'ordine ecc). Ma tutto questo non esiste!


La violenza maschile sulle donne non è solo fisica, psicologica, ma è anche economica. Una vendetta spietata che viene messa in atto dagli uomini "lasciati" molto spesso da donne che per anni hanno subito ogni sorta di soprusi, percosse, umiliazioni.

Alle donne viene tolto tutto per punirle. Vengono negati diritti, strappati i figli, la casa, il denaro. Una vera e propria e devastante uccisione sociale.

E queste donne sono tantissime, indebolite, alle quali non viene dato nulla da nessuno, nessun aiuto, che devono chiedere disperatamente un pò di soldi all'ex per i figli e questi padri molto spesso le fanno passare per opportuniste, materialiste, ladre, avide di denaro, immolandosi loro stessi invece a vittime e molto spesso la somma non arriva. Oppure questi padri denigrano le ex che accusano di essere delle poveracce umiliandole e ridicolizzandole.

Bell'esempio danno questi padri ai loro figli!!




VERA INNOCENTI





venerdì 11 marzo 2011

DECALOGO PER I PAPA'



Il primo dovere di un padre verso i suoi figli è amare la madre. La famiglia è un sistema che si regge sull'amore. Non quello presupposto, ma quello reale, effettivo. Senza amore è impossibile sostenere a lungo le sollecitazioni della vita familiare.
Non si può fare i genitori "per dovere". E l'educazione è sempre un "gioco di squadra". Nella coppia, come con i figli che crescono, un accordo profondo, un'intima unione danno piacere e promuovono la crescita, perché rappresentano una base sicura. Un papà può proteggere la mamma dandole in "cambio", il tempo di riprendersi, di riposare e ritrovare un po' di spazio per sé.

Il padre deve soprattutto esserci. Una presenza che significa "voi siete il primo interesse della mia vita".
Affermano le statistiche che, in media, un papà trascorre meno di cinque minuti al giorno in modo autenticamente educativo con i propri figli. Esistono ricerche che hanno riscontrato un nesso tra l'assenza del padre e lo scarso profitto scolastico, il basso quoziente di intelligenza, la delinquenza e l'aggressività.
Non è questione di tempo, ma di effettiva comunicazione. Esserci, per un papà vuol dire parlare con i figli, discorrere del lavoro e dei problemi, farli partecipare il più possibile alla sua vita. E' anche imparare a notare tutti quei piccoli e grandi segnali che i ragazzi inviano continuamente.


Un padre è un modello, che lo voglia o no. Oggi la figura del padre ha un enorme importanza come appoggio e guida del figlio. In primo luogo come esempio di comportamenti, come stimolo a scegliere determinate condotte in accordo con i principi di correttezza e civiltà.
In breve, come modello di onestà, di lealtà e di benevolenza. Anche se non lo dimostrano, anche se persino lo negano, i ragazzi badano molto di più a ciò che il padre fa, alle ragioni per cui lo fa. La dimostrazione di ciò che chiamiamo "coscienza" ha un notevole peso quando venga fornita dalla figura paterna.

Un padre dà sicurezza
. Il papà è il custode. Tutti in famiglia si aspettano protezione dal papà. Un papà protegge anche imponendo delle regole e dei limiti di spazio e di tempo, dicendo ogni tanto "no", che è il modo migliore per comunicare: "ho cura di te".


Un padre incoraggia e dà forza. Il papà dimostra il suo amore con la stima, il rispetto, l'ascolto, l'accettazione. Ha la vera tenerezza di chi dice: "Qualunque cosa capiti, sono qui per te!". Di qui nasce nei figli quell'atteggiamento vitale che è la fiducia in se stessi. Un papà è sempre pronto ad aiutare i figli, a compensare i punti deboli.


Un padre ricorda e racconta. Paternità è essere l'isola accogliente per i "naufraghi della giornata". E' fare di qualche momento particolare, la cena per esempio, un punto d'incontro per la famiglia, dove si possa conversare in un clima sereno. Un buon papà sa creare la magia dei ricordi, attraverso i piccoli rituali dell'affetto.
Nel passato il padre era il portatore dei "valori", e per trasmettere i valori ai figli bastava imporli. Ora bisogna dimostrarli. E la vita moderna ci impedisce di farlo. Come si fa a dimostrare qualcosa ai figli, quando non si ha neppure il tempo di parlare con loro, di stare insieme tranquillamente, di scambiare idee, progetti, opinioni, di palesare speranze, gioie o delusioni?

Un padre insegna a risolvere i problemi. Un papà è il miglior passaporto per il mondo " di fuori". Il punto sul quale influisce fortemente il padre è la capacità di dominio della realtà, l'attitudine ad affrontare e controllare il mondo in cui si vive. Elemento anche questo che contribuisce non poco alla strutturazione della personalità del figlio. Il papà è la persona che fornisce ai figli la mappa della vita.


Un padre perdona. Il perdono del papà è la qualità più grande, più attesa, più sentita da un figlio.
Un giovane rinchiuso in un carcere minorile confida: "Mio padre con me è sempre stato freddo di amore e di comprensione. Quand'ero piccolo mi voleva un gran bene; ci fu un giorno che commisi uno sbaglio; da allora non ebbe più il coraggio di avvicinarmi e di baciarmi come faceva prima. L'amore che nutriva per me scomparve: ero sui tredici anni... Mi ha tolto l'affetto proprio quando ne avevo estremamente bisogno. Non avevo uno a cui confidare le mie pene. La colpa è anche sua se sono finito così in basso. Se fossi stato al suo posto, mi sarei comportato diversamente. Non avrei abbandonato mio figlio nel momento più delicato della sua vita. Lo avrei incoraggiato a ritornare sulla retta via con la comprensione di un vero padre. A me è mancato tutto questo".

Il padre è sempre il padre. Anche se vive lontano. Ogni figlio ha il diritto di avere il suo papà. Essere trascurati o abbandonati dal proprio padre è una ferita che non si rimargina mai.

Un padre è immagine importante. Essere padre è una vocazione, non solo una scelta personale. Tutte le ricerche psicologiche dicono che i bambini si identificano con l'immagine sul modello del loro papà. Un papà che rispetta la madre dei suoi figli rispetta anche loro e lascerà un'impronta indelebile.


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Un decalogo per il papà, proposto da un bambino


Papà.....

- Non viziarmi. So benissimo che non dovrei avere tutto quello che chiedo. Voglio solo metterti alla prova.


- Non essere incoerente: questo mi sconcerta e mi costringe a fare ogni sforzo per farla franca ogni volta che posso.


- Non fare promesse: potresti non essere in grado di mantenerle. Questo farebbe diminuire la mia fiducia in te.


- Non correggermi davanti alla gente. Ti presterò molta più attenzione se parlerai tranquillamente con me a quattr'occhi.


- Non brontolare continuamente: se lo fai dovrò difendermi facendo finta di essere sordo.


- Non badare troppo alle mie piccole indisposizioni. Potrei imparare a godere di cattiva salute se questo attira la tua attenzione.


- Non preoccuparti per il poco tempo che passiamo insieme. È come lo passiamo che conta.


- Non permettere che i miei umori suscitino la tua ansia perché allora diventerei ancora più pauroso. Indicami il coraggio.


- Non dimenticare che non posso crescere bene senza molta comprensione ed incoraggiamento... ma non ho bisogno di dirtelo, vero?


- Ricordati, io imparo di più da un esempio che da un rimprovero.


Grazie Papà. Tuo figlio.




Di Vera Innocenti

martedì 1 marzo 2011

Profilo criminologico del pedofilo, IL PREDATORE DI BAMBINI


Il termine pedofilia indica l’attrazione sessuale da parte di persone adulte nei confronti dei bambini; e il concetto di pedofilo viene comunemente associato alla figura di chi abusa sessualmente di un soggetto di minore età.

Secondo una stima, più o meno approssimativa, si è giunti a ipotizzare che circa il 50% di quanti commettono un simile atto di abuso possano aver subito un’analoga violenza durante la loro infanzia.
Trattandosi di un fenomeno connotato da una radicata ciclicità, sussiste una costante difficoltà di natura giuridico-normativa che si sostanzia nella motivazione data da una duplice condizione di vittima e carnefice; fattore che rende estremamente difficile legiferare in materia.

La gravità del danno subito dal bambino, e della colpa del reo, lascia intuire la difficoltà di stabilire capacità di intendere e di volere in quanto è possibile che vi sia una connotazione psicopatologica alla base dell’azione antigiuridica.
Ciò non toglie che nella maggioranza dei casi venga a mancare un nesso, giuridicamente sufficiente, per poter stabilire un rapporto causa-effetto fra la violenza subita nell’infanzia e quella commessa in età adulta: ipotesi tale da incidere sulla incapacità del reo.
In alcuni questa condotta potrebbe essere, senza voler giustificare l’abuso, legata ad una condizione deficitaria dello sviluppo psico-sessuale quasi come una sorta di automatismo dell’atto sessuale.

Questo “empasse” giuridico nel quale si è trovata la condotta pedofila è stato, in parte, superato con l’emanazione nel 1996 della legge n. 66 recante «Norme contro la violenza sessuale», che introduce all’art. 609 quater il reato di «Atti sessuali con minorenne», punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Nel corso degli anni il tema dell’abuso sessuale nei confronti dei minori ha iniziato a essere inserito con sempre maggiore frequenza fra gli argomenti di dibattito dell’opinione pubblica, dalle trasmissioni televisive alla carta stampata, fino a raggiungere un crescente interesse anche in ambito scientifico.

È ormai opinione condivisa che l’abuso all’infanzia costituisca un grave problema, non solo per la salute pubblica, ma soprattutto per le vittime dell’abuso che vedono seriamente compromessa la loro condizione psichica e fisica.

Motivo per cui, come ripreso da uno studio condotto da Luna e coll., possiamo ritenere che «comprendere le caratteristiche psicologiche di tali individui contribuirà a far progredire le nostre conoscenze sulla personalità degli autori d’abuso, rispetto ai quali potranno essere adottate misure di prevenzione e d’intervento più adeguate venendo così incontro all’esigenza primaria di tutelare più efficacemente i minori a rischio».

A questo punto appare, comunque, essenziale fare una distinzione terminologica fra Child molester, categoria eterogenea che comprende tutte quelle attività sessuali con minori indipendentemente dal vincolo di parentela, e Pedofilo, termine solitamente utilizzato in ambito clinico e connesso al campo delle parafilie.
Inoltre bisogna aggiungere quegli individui che compiono l’abuso sessuale all’interno del nucleo familiare.

I molestatori di minori o child sexual offenders, possono essere inizialmente distinti nelle due categorie di «regrediti», per coloro che hanno sviluppato un orientamento sessuale e interpersonale adeguato alla loro età, ma che, in talune circostanze, possono regredire a un orientamento sessuale rivolto ai bambini; e i «fissati», quando l’interesse sessuale primario non si è mai sviluppato oltre il livello di interesse verso i minori.



Deviazioni e perversioni sessuali

Chi è il pedofilo? Esistono delle caratteristiche di personalità tali da consentire di identificare questi soggetti? Queste sono solo alcune delle più comuni domande che ci possono venire alla mente quando cerchiamo di dare una spiegazione a una condotta da tutti comunemente ritenuta come uno dei marchi più infamanti che possano esistere.

La pedofilia è tutt’ora considerata una di quelle parafilie la cui eziologia rimane in gran parte intrisa di mistero, dal momento che ad oggi permangono alcune difficoltà, da parte della comunità scientifica, nel definire all’unanimità le caratteristiche di questo fenomeno, e soprattutto di coloro che si macchiano di questa grave forma di devianza sociale.

Fra gli aspetti più interessanti della nosografia psichiatrica proposta dal DSM-IV-TR (2000) vi sono quelle patologie correlate ai disturbi di tipo sessuale; dividendo i disturbi sessuali in parafilie e disfunzioni sessuali.

Le parafilie, un tempo denominate Perversioni Sessuali, sono comportamenti caratterizzati dal fatto che l’eccitamento erotico è prodotto da un oggetto o da una situazione che normalmente non produce lo stesso effetto. Non è escluso che un soggetto presenti diversi tipi di parafilia.

Il termine parafilia venne introdotto da Stekel in relazione all’attaccamento morboso e anormale dell’istinto, soprattutto per quanto concerne la soddisfazione sessuale, a cui può corrispondere una, più o meno, evidente forma di deviazione o perversione.

Anche se, secondo Stekel, l’espressione parafilia è meno forte e incisiva. Infatti si può parlare di parafilia quando vi siano “spunti” o forme non conclamate di anormalità sessuale. Per Krafft-Ebing un soggetto, in un determinato momento della sua vita, può associare un evento casuale a uno stato di piacere sessuale.

Questo legame di causa/effetto può essere ricercato dal soggetto ripetutamente attraverso il replicare la situazione da cui ha avuto origine. Il reiterare l’esperienza rinforzerebbe il binomio evento/piacere erotico a esso associato. Sigmund Freud ritenne che nelle perversioni sessuali l’Io risponde esclusivamente al desiderio pulsionale, trovando impedimento e censura solo a livello della norma sociale.

Quindi la perversione come fonte diretta e cosciente di piacere sarebbe responsabile dei comportamenti devianti nei confronti della norma. Stoller considera le perversioni sessuali al pari di una forma erotizzata dell’odio, una fantasia solitamente esplicitata ma che a volte può rimane a livello di un sogno diurno.
Si tratterebbe, quindi, di una forma di aberrazione abituale, preferita ad altre forme di comportamento sessuale, necessaria affinché il soggetto provi pieno godimento, e motivata da ostilità.

L’ostilità andrebbe considerata come quella condizione in cui un individuo desidera danneggiare un “oggetto” per ricavarne una sensazione piacevole. Nella perversione, infatti, l’ostilità assumerebbe la forma di una fantasia di vendetta celata dalle azioni che costituiscono la perversione stessa, e agirebbe a livello intrapsichico con la funzione di «convertire il trauma dell’infanzia nel trionfo dell’adulto», perché si crei la massima eccitazione possibile, la perversione dovrebbe essere ritenuta come un’azione rischiosa e potenzialmente pericolosa.

Mitchel, inoltre, ritiene le perversioni come una sfida alla “prepotente influenza” della figura materna infantile. Secondo questa teoria il soggetto con perversione, dopo aver messo in atto il suo desiderio sessuale, arriva a esperire un sentimento, controllato dall’interno, di trionfo sulla propria madre.

Per Kohut l’attività perversa sembra comprendere il tentativo disperato di ristabilire l’integrità e la coesione del sé per quell’individuo che si sente minacciato da una condizione di abbandono o separazione.

Secondo questi approcci, i soggetti con pedofilia, attraverso la messa in atto di un comportamento perverso cercherebbero di ottenere un’attenuazione, anche se temporanea, dalla frustrazione. Esposizioni che appaiano, ovviamente, come una interpretazione eziologica di tipo “buonista”. Come una sorta di “giustificazione”, nata dalla convinzione che un soggetto, che ha vissuto durante l’infanzia o nell’adolescenza, un trauma, in seguito a esperienze sessuali di abuso, sia più disposto una volta adulto a attuare comportamenti sessuali abusanti nei confronti di minori. Quasi in una sorta di “fissazione” delle modalità di condotta abusante come unico e solo modello di interazione “normale”.



Teorie eziologiche sull’abuso

Per molto tempo studiosi e ricercatori delle più diverse discipline hanno tentato di trovare il bandolo della matassa che consentisse di dare una spiegazione eziologica sull’origine del comportamento dei pedofili. Si tratta di ipotesi interpretative che, nel corso degli anni, hanno aggiunto qualche tassello al quadro senza però riuscire a delineare un quadro ben definito che potesse spiegare equivocamente l’origine di tale perversione.

Secondo il criminologo italiano Altavilla la pedofilia non risponderebbe a un disagio psicopatologico, ma come frutto di una volontà sospinta dal soddisfacimento di un desiderio sessuale che viene appagato in soggetti che per loro natura non sono in grado di opporre resistenza. Opinione del resto condivisa da gran parte della comunità scientifica a partire dagli anni ’50.

A partire dagli anni ’70 in poi, alcuni ricercatori dell’FBI, in uno studio condotto su 26 pedofili, osservarono alcuni elementi in comune tra i Child sex offenders, a prescindere dal tipo di perversione sessuale che presentavano:

il piacere sessuale proviene da un atto masturbatorio successivo all’atto perverso;

l’atto provoca solo una scarsa eccitazione sessuale, e per questo il pedofilo presto inizia a ricercare una nuova vittima con cui ricreare il piacere erotico;

non vi è coinvolgimento emotivo con la vittima, che viene usata esclusivamente come fonte/oggetto di appagamento sessuale.

Fra le numerose teorie furono, fin dai primi anni dello scorso secolo, quelle sessuologiche a dominare la psicologia e la psichiatria. Queste discipline ritenevano le perversioni sessuali al pari delle sindromi psicopatologiche caratterizzate da alterazioni qualitative dell’istinto sessuale. Nel corso dei decenni, poi, si sono succedute nuove interpretazioni e diverse produzioni teoriche sull’origine della pedofilia, spesso in evidente contrapposizione fra loro.

Una delle prime discipline a interessarsi agli sviluppi eziologici della pedofilia fu la Psicoanalisi di matrice freudiana. Secondo la concezione psicoanalitica classica, infatti, l’atto pedofilo è legato a fissazioni e regressioni verso forme di sessualità infantile (Freud).

La teoria pulsionale, e i suoi aspetti relazionali, consistono nell’ipotesi dell’arresto dello sviluppo psicosessuale: un trauma precoce; aver vissuto la propria sessualità in modo restrittivo; in seguito a conflitti sessuali; una coscienza distorta di natura patologica.

Secondo molti degli autori, che utilizzano un approccio psicoanalitico, la pedofilia è da considerarsi una perversione che si origina sull’angoscia della castrazione, la quale ostacola il soggetto nel raggiungimento di una sessualità adulta e lo fa regredire a una pulsione parziale. Questa paura di avere rapporti sessuali con donne adulte farebbe si che il soggetto sia costretto a dirigere le proprie pulsioni verso un individuo considerato come potenzialmente meno potente, e quindi vissuto come meno ansiogeno. Sicuramente questo non spiega il perché venga scelta la pedofilia come meccanismo difensivo piuttosto che un altro.

La recente impostazione psicoanalitica, inoltre, distingue quello che si definisce comportamento o fantasia pedofiliaca di natura occasionale e il vero «pervertito pedofilo ossessivo», che deve avere un’attività sessuale con un bambino per non soffrire di una «intollerabile e angosciosa ansia».

Il pedofilo occasionale risulta essere la tipologia di comportamento maggiormente diffusa, d’altro canto quello pervertito ossessivo sembra essere più raro da ritrovare.
Oltre all’evidente incapacità di reggere un rapporto amoroso adulto, sussisterebbe anche una componente narcisistica che si manifesterebbe nella tendenza del pedofilo a “ricercare”, nel bambino, se stesso nel periodo della propria infanzia, adottando lo stesso trattamento subito.

In particolar modo i pedofili hanno bisogno di dominare e controllare le loro vittime, come se supplissero ai loro sentimenti di impotenza: il bambino come oggetto d’amore, un’immagine a specchio di se stessi, capace di placare le loro angosce di castrazione. Per Kaplan, le origini delle tendenze pedofile andrebbero ricercate nelle prime interazioni fra madre e bambino. I bisogni narcisistici di auto-amore della madre potrebbero essere trasmessi al figlio in maniera eccessiva a causa del suo bisogno di essere idealizzata dal figlio.

Il parafilico è, quindi, una persona che non è riuscita a completare il normale processo di sviluppo verso l’adattamento eterosessuale, cadendo in una «fissazione o regressione a forme di sessualità infantile che persistono nella vita adulta».

Fra le teorie considerate di tipo “giustificativo” quella definita dell’abusato-abusatore considera la pedofilia la conseguenza del fatto che i colpevoli sessuali sono stati a loro volta abusati durante l’infanzia.
Per Garland e Dougher i reati dell’aggressore adulto possono essere in parte una ripetizione e un riflesso di un’aggressione sessuale subita da bambino, un tentativo distorto di dare uno sfogo a traumi sessuali precoci ancora irrisolti causati dalla vittimizzazione.
Groth, inoltre, sostiene che la motivazione di base, che spinge l’abusatore a agire, non è di natura sessuale, ma l’espressione di bisogni esistenziali non risolti: un «atto pseudosessuale» per soddisfare bisogni di natura non sessuale.

Un’ulteriore settore di ricerca, definito come teoria dell’«identificazione parentale», sposta l’attenzione a livello sociale sostenendo che i sexual offenders sono con molta probabilità cresciuti in famiglie disfunzionali. In realtà, recenti studi hanno dimostrato che non è sempre così, considerando la pedofilia come una condotta che può appartenere a tutte le classi sociali. Infatti, questa interpretazione, non spiega come mai alcuni individui che hanno subito, nella loro infanzia, abusi e soprusi sia di natura sessuale che fisica poi non arrivino a commettere un abuso.

In ambito clinico, inoltre, è comune ritenere che le perversioni sono rare nelle donne anche se questa opinione è radicalmente mutata nel corso degli ultimi anni.

La ricerca empirica e l’osservazione clinica hanno dimostrato come le fantasie perverse siano presenti in ambo i sessi. Kaplan sottolinea che i clinici non sono stati in grado di identificare le perversioni nelle donne, poiché esse implicano delle dinamiche più sottili rispetto alle perversioni sessuali maschili, che sono più osservabili e verificabili.

Delle attività sessuali che derivano dalle parafilie femminili fanno parte le tematiche della separazione, dell’abbandono e della perdita. Comunque, alcuni studi recenti, sostengano che le donne abusanti sarebbero più rare dei maschi e spesso affette da disturbi psichici. Inoltre, la dinamica dell’atto pedofilo nelle donne, ha spesso una connotazione diversa: vengono coinvolte, con un ruolo quasi sempre marginale, da un compagno pedofilo.

Il modello delle precondizioni, poi, si basa sull’assunto che i pedofili non abbiano sviluppato la capacità di relazioni adulte e mature, il comportamento abusante sarebbe spiegato dalla compresenza di quattro fattori:

1 l’abusatore ritiene i bambini sessualmente attraenti, soddisfacendo così alcune rilevanti esigenze emozionali: la ricerca di una sensazione di dominio, necessaria, per essere stato a sua vittimizzato, oppure il fatto che lui stesso è infantile;

2 le inibizioni interne vengono superate mediante disibinitori: abuso di sostanze, percezioni distorte dei desideri del minore, senilità, psicosi. Oppure relativi all’ambiente socioculturale: tolleranza sociale per interessi sessuali verso i bambini o deboli sanzioni contro chi commette abusi su minori;

3 le inibizioni esterne superate, per esempio, nel caso di una madre assente o malata vittima di abuso;

4 le resistenze e la riluttanza della vittima vengono superate, mediante un rapporto di fiducia reciproca, regali, coercizione. Oppure ricercando una vittima emotivamente insicura, depressa.

Finkelhor ha proposto una nuova teoria secondo cui l’abusato può provare l’esigenza di agire nuovamente su altri la vittimizzazione subita, solo quando questa è stata accompagnata da un’intesa umiliazione. La psicodiagnostica psichiatrica, inoltre, ipotizza l’esistenza di una «pedofilia primaria» che comporta, in una certa misura, un’integrazione dell’Io pedofilo e una conseguente stabilità della sua personalità.

Di una «pedofilia secondaria», conseguente a altre gravi psicopatologie come la schizofrenia. E alcune psicosi organiche e altre condizioni in cui la personalità si disintegra, provocando una serie di comportamenti perversi.

Il modello neuropsicologico e biologico, infine, ritiene che per una parte consistente dei pedofili una disfunzione cerebrale potrebbe essere la causa scatenante. Un ulteriore approccio ha altresì cercato di ricavare dei risultati dalla misurazione dell’attività cerebrale utilizzando l’elettroencefalogramma (EEG). Tali ricercatori affermano che la perversione sessuale sarebbe la causa di idee devianti, che sono conseguenza dei cambiamenti nelle funzioni dell’emisfero cerebrale dominante.

Il modello cognitivo, infine, sostiene che i pedofili cercano qualsiasi mezzo per giustificare le loro azioni e utilizzano la pornografia come fonte di rassicurazione.
La pedofilia viene considerata dai cognitivisti alla stregua di un comportamento additivo, come avviene per l’assunzione di alcool e di droga, e perciò non può essere contenuta e combattuta offrendole materiale che invece la alimenta.
Tra le caratteristiche dello stile cognitivo dei pedofili vi è la minimizzazione dell’abuso che viene definito come qualcosa di consensuale e in un certo senso desiderato dallo stesso bambino.

L’importanza di teorizzare la condotta del pedofilo sembra riallacciarsi alla necessità di introdurre dei modelli trattamentali, diversi a seconda dell’approccio utilizzato. La psicodinamica opterà per la una psicoterapia individuale e di gruppo; la concezione biologica per la castrazione chimica; i cognitivisti-comportamentali per una terapia volta a individuare e evitare i comportamenti a rischio, la relapse prevention: dal relativo modello.


La classificazione clinica della pedofilia

Il DSM-IV-TR (2000) definisce la pedofilia come parafilia che comporta l’attività sessuale con bambini prepuberi generalmente di età compresa dagli 0 ai 13 anni. Il disturbo generalmente ha il suo esordio durante l’adolescenza, sebbene alcuni soggetti con pedofilia riferiscano di non essere mai stati attratti da bambini fino a che non hanno raggiunto la mezza età.

La frequenza del comportamento pedofilico sembra variare spesso a seconda dello stato psicologico e sociale dell’individuo; aumentando nelle condizioni di stress. Il decorso solitamente è cronico, soprattutto per coloro che provano attrazione nei confronti dei minori di sesso maschile: il tasso di recidive è all’incirca doppio rispetto a coloro che preferiscono le femmine. Tre i criteri diagnostici per riscontrare una diagnosi di pedofilia:

1 Un periodo di almeno 6 mesi, sviluppo di fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti, e intensamente eccitanti sessualmente, che comportano attività sessuale con uno o più bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più piccoli);

2 La persona ha agito sulla base di questi impulsi sessuali o gli impulsi o le fantasie sessuali causano considerevole disagio o difficoltà interpersonali;

3 Il soggetto ha almeno 16 anni e è di almeno 5 anni maggiore del bambino o dei bambini di cui al primo criterio.

Va, poi, segnalato che in tale classificazione non è incluso il soggetto tardo-adolescente coinvolto in una relazione sessuale con un soggetto di 12-13 anni.
Per questi soggetti con diagnosi di pedofilia, non viene specificata una precisa differenza di età, e si deve ricorrere alla valutazione clinica: maturità sessuale del minore e differenza di età. Di solito dimostrano attrazione per i bambini di una particolare fascia di età.
Alcuni sembrano preferire i maschi, altri le femmine, altri, invece, sono attratti sia da maschi che da femmine.
Quelli attratti dalle femmine generalmente prediligono quelle tra gli 8 e i 10 anni, mentre gli altri, di solito, hanno una preferenza per i bambini più grandi. La pedofilia vede coinvolte più vittime di sesso femminile.

I Child molester si differenziano tra Tipo esclusivo: individui attratti sessualmente solo da bambini, e Tipo non esclusivo: soggetti dall’interesse misto, talvolta per gli adulti e talora per i minori.
Un’ulteriore distinzione va fatta per i casi d’incesto, dove l’abuso si consuma all’interno delle mura domestiche.

Fra i patterns comportamentali dei child sex offenders si possono ritrovare alcune azioni specifiche, sessualmente connotate, con le quali i pedofili tendono a sfogare i loro impulsi sessuali.
Alcuni si limitano a spogliare e guardare il bambino; per altri l’eccitazione sessuale nasce dal fatto di essere guardati dal minore.
In molti casi l’atto si fa concreto attraverso l’attività masturbatoria, o con il contatto fisico con la vittima. In altri casi vi può essere fellatio, cunnilingus, oppure una penetrazione (anche con corpi estranei).

Importante sottolineare come spesso questi soggetti utilizzino vari gradi di violenza nel commettere l’abuso. Comportamenti che, nella mente del pedofilo, possono essere giustificati o razionalizzati, come valore educativo per il bambino, che il bambino ne ricava piacere sessuale, o adducendo che il bambino era sessualmente provocante. Tutti meccanismi psicologici di disimpegno morale, che Bandura definisce come distorsioni cognitive, comuni anche per la pornografia minorile.

Vista la natura egosintonica della pedofilia, molti soggetti, non provano significativo disagio da questi “particolari interessi” sessuali. Nell’abuso da incesto, ad esempio, i soggetti possono riservare le attenzioni sessuali ai propri figli, o sovente figliastri.
Questi possono arrivare persino a minacciare la vittima onde evitare il rischio di essere scoperti.

Alcuni, soprattutto fra coloro che presentano comportamenti pedofili reiterati, sono in grado di sviluppare sofisticate “tecniche di accesso ai bambini”, come il guadagnarsi la fiducia dei genitori del bambino, sposare una donna con un bambino sessualmente attraente, scambiare i minori con altri pedofili
.

In altri casi adottare bambini di paesi sottosviluppati o persino rapirli.
Tranne i casi in cui il disturbo è associato ai tratti di personalità sadica, l’individuo può prestare attenzione ai bisogni del bambino al fine di ottenere l’affetto, l’interesse e la fedeltà, così da evitare che questi riveli a terzi l’abuso sessuale subito.



Il profilo criminologico del child sex offender

Per quanto riguarda il profilo del pedofilo una prima possibile distinzione della personalità, di questa categoria estremamente eterogenea, è quella fra pedofili che presentano dei tratti di personalità di tipo psicopatologico e quelli che, invece, non sono da considerare come psicologicamente deficitari. Nell’insieme che raccoglie i soggetti con tratti di personalità psicopatologiche possono essere collocati quegli individui che presentano:

- Sviluppo tardivo, inesperienza sessuale, comportamenti simili alla fase puberale;

- Degenerazione della personalità dovuta alla senilità o a disturbi del sistema ormonale;

- Abbinamento dell’eros pedagogico alla pulsione sessuale;

- Labilità della personalità endogena, che si è sviluppata nella sfera sessuale;

- Personalità già criminale con deviazione dei disturbi pulsionali.



Per quanto riguarda il secondo gruppo vanno ricompresi quei soggetti con tratti di immaturità psicosessuale, di passività, d’impotenza, d’inadeguatezza genitale, d’infantilismo e segni di compensazione da carenza affettiva.

Anche se uno degli approcci più seguiti negli ultimi anni per spiegare la personalità del pedofilo è stato quello della trasmissione transgenerazionale del modello abusante, e della ciclicità dell’abuso, è opportuno ricordare che non tutte le vittime di abuso nell’infanzia in età adulta compiono a loro volta abusi sessuali.

Tra i fattori di criticità che possono essere presi in considerazione vi sono:

l’incisività dell’abuso, l’età in cui è stato subito, la sua durata, il tipo di relazione con l’abusante, e il grado della violenza subita.

Questi individui presentano caratteristiche spesso comuni, tra le quali grosse difficoltà di relazione e integrazione sociale, gravi problemi di natura sessuale e situazioni di disagio psichico molto estese.
Queste però rimangono condizioni insufficienti a giustificare l’abuso verso i minori. In molti casi si possano trovare pedofili di ceto sociale medio, con buoni livelli di scolarizzazione e con discreti status sociali, economici e familiari.

Secondo alcuni è possibile differenziare la condotta dei pedofili in base alle modalità con cui manifesta il comportamento sessuale abnorme; una differenziazione fra «pedofilia primaria» e «pedofilia secondaria», dove quest’ultima è associata a un quadro di personalità caratterizzato da gravi disturbi mentali come la schizofrenia.

Un’altra nota classificazione dell’agire pedofilo è quella introdotta da Holmes e Holmes i quali proposero le due note tipologie di «pedofilo situazionale» e «pedofilo preferenziale».

Il primo non nutre una profonda preferenza per i bambini, la sua attenzione è verso ogni persona considerata come vulnerabile, ma a causa di eventi particolarmente stressogeni, può arrivare a rivolgersi al mondo dell’infanzia alla ricerca di una gratificazione di natura sessuale. Dentro questa tipologia possiamo ritrovare almeno tre sottogruppi:

Il pedofilo regressivo o in fase regressiva è un soggetto che, anche se inizialmente ha stabilito un normale rapporto affettivo con gli adulti, a causa di eventi che ne abbiano minato l’autostima e modificato l’immagine, può arrivare a percepire il bambino come uno pseudo-adulto.
Talvolta sono presenti anche vizi destrutturanti come l’alcoolismo, che lo portano a incrementare l’interesse sessuale verso la debolezza infantile.

Il tipo regressivo generalmente è sposato e vive con la famiglia, ha un lavoro regolare, e conduce una vita apparentemente normale. Si tratta si individui quasi sempre attratti da minori sconosciuti, e le vittime, in genere di sesso femminile, sono quasi sempre scelte in modo opportunistico.
Questo tipo di pedofilia («paidofilia erotica») può riguardare anche gli anziani, in particolar modo, quelli che vivono in solitudine e sono afflitti da malattie organiche;

La tipologia del «pedofilo sessualmente indiscriminato» si discosta poco rispetto a quello appena descritto; l’unica differenza potrebbe essere individuata dal fatto che, in questo caso, gli abusi perpetrati hanno tutti una natura sessuale e coinvolgono il lato più bizzarro della personalità.
Anche per questo tipo i bambini rappresentano solo un facile strumento di soddisfacimento in particolari occasioni nel caso del «pedofilo moralmente indiscriminato»;

Il pedofilo introverso o inadeguato non dimostra avere buone capacità relazionali e risulta vivere isolato.
Si tratta comunque di individui solitamente portatori di disturbi psichici, condizione che finisce col rendere poco praticabile una scelta adeguata tra bene e male.
La loro modalità di azione varia fra atti di esibizionismo (se molto insicuro o inadeguato sessualmente); oppure all’aggressione, anche se in questo caso si trovano scarsi segni fisici sul corpo della sua vittima. L’instabilità psichica di questo soggetto lo rende socialmente pericoloso.

Il «pedofilo preferenziale», invece, durante l’adolescenza dimostra possedere una scarsa capacità di stringere relazioni non patologiche sviluppando scarsi contatti con i coetanei e il suo interesse sessuale verso i bambini è di insorgenza precoce e preminente.
Nella gran parte dei casi, questi soggetti, premeditano accuratamente le loro azioni e l’atto sessuale presenta sempre una firma seguendo rituali precisi, ben definibili e ripetuti.
In molti casi è stato a sua volta vittima di un abuso sessuale durante l’infanzia. In questa categoria, inoltre, è possibile introdurre un’ulteriore differenziazione. Anche in questo caso gli autori hanno individuato alcune sottocategorie specifiche:

Il Pedofilo seduttivo cerca di guadagnarsi la fiducia del bambino attraverso una serie di modalità simili al corteggiamento, che prevedono la messa in atto di un comportamento molto affettuoso: mediante numerose attenzioni, tenerezze, cerca di “comprare” la fiducia del minore anche attraverso dei regali. Questi soggetti solitamente hanno facile accesso ai bambini e una buona capacità di interazione;

Il Pedofilo dalla personalità immatura o fissato è un soggetto inadeguato da un punto di vista relazionale e affettivo.
Si tratta di individui che appaiono fissati a uno stadio ipoevoluto dello sviluppo psicosessuale e che non abbisognano di nessun evento precipitante perché la loro attenzione si rivolga ai minori, essendo questo interesse persistente e compulsivo. Questi soggetti non riesce a instaurare un normale rapporto di coppia tra adulti e, quindi, ripiega il suo interesse sui bambini per sentirsi padrone della situazione e esercitare un ruolo di controllo sulla sua vittima.
In molti casi non sono particolarmente aggressivi, mirano a sedurre e coinvolgere il bambino, cercando di stimolare la sua curiosità verso la sessualità;

Il sadico o aggressivo, può manifestare un comportamento antisociale o misogino. Prova immenso piacere nell’infliggere sofferenza fisica e psicologica alla sua vittima.
Come tattica di adescamento utilizza l’inganno e la forza fisica, arrivando, in molti casi, a rapire e uccidere le sue vittime, manifestando un elevato grado di violenza. Si differenzia dal sadico-inibito per la sostanziale differenza nel grado della violenza attuata.
In questo caso è riscontrabile un limitato contatto fisico e anche le ferite sul corpo della vittima sono scarse.

Bisogna poi considerare alcune classificazioni particolari di offender sessuale che, non sempre possono essere utilizzate con finalità di tipo investigativo-forensi, ma che assumono un interessante significato da un punto di vista eziologico e terapeutico.
Esse possono essere così riassunte:

Il pedofilo latente è un soggetto che, solitamente, nutre continue fantasie di connotazione erotica che però non mette in pratica, rimanendo così in una situazione di “limbo pedofiliaco”.
Egli può essere ampiamente conscio della sua condizione al punto di avvertirne il disagio. Malessere che lo induce a rifugiarsi in una situazione ideale di isolamento sociale, in preda alla frustrazione, dovuta alla sua condizione di “pedofilo mancato”.
In alcuni casi, questo tipo di soggetto, può arrivare a chiedere un’analisi clinica spontaneamente;

Il pedofilo narcisista ricerca un alto contatto con il bambino.
Il motivo principale della sua attrazione è dato dalla semplice gratificazione sessuale, il suo è un interesse di natura egocentrica.
Gli atti sessuali sono sempre di natura fallica.
La vittima è tipicamente sconosciuta e normalmente il contatto sessuale avviene una sola volta. L’azione tende a essere spontanea e scarsamente pianificata;

I pedofili omosex sono spesso soggetti che lamentano una storia personale infantile di carenza affettiva genitoriale, soprattutto materna. Sostengono che l’identificazione col fanciullo, su cui fissano la propria attenzione, attraverso l’abuso, diviene fonte di sollievo alla loro angoscia esistenziale.

Per quanto riguarda l’abuso sessuale di tipo intra-familiare è possibile stilare una classificazione per tipi secondo quella che è stata definita da Merzagora come tipologia dei padri incestuosi.

Questa si compone di quattro modelli peculiari:

- Il padre psicopatico.
Qui più che a precise malattie psichiatriche, ci si trova di fronte a personalità abnormi, in cui gli aspetti culturali e caratteriali influiscono in un comportamento fortemente inadeguato. Si verificano in questi casi non solo abusi sessuali, ma anche fisici. Questa tipologia è scarsamente indicata per un trattamento di recupero.

- Il padre-padrone è caratterizzato non tanto da tratti psicopatologici, quanto da elementi determinati sotto il profilo culturale. Si tratta di un padre che commette l’incesto come prova del suo assoluto dominio su tutti i componenti del nucleo familiare, i quali, vengono trattati come cose di sua proprietà. Sono descritti come soggetti rudi e dispotici. Anche in questo caso all’abuso si associano spesso maltrattamenti. La prognosi è infausta, nel senso che risultano inidonei al trattamento.

- Il padre endogamico è un soggetto incapace di crearsi legami sociali al di fuori della famiglia di conseguenza rivolge le sue attenzioni sessuali ai figli. In questa tipologia, sembra presente una maggiore malleabilità personologica e il reato viene vissuto come egodistonico.

- Il padre razionalizzante. Più che una tipologia si dovrebbe parlare di una sorta di discolpa a cui ricorrono spesso i padri incestuosi al fine di “normalizzare” la propria condotta. Diverse le loro giustificazioni: verificare la verginità della figlia, favorire un normale orientamento sessuale nella figlia, dichiararsi innamorati della figlia.


RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Il mondo dei pedofili, come abbiamo visto, si caratterizza per una visione integralista dell’esistenza e delle relazioni. Questi soggetti sono spesso convinti della liceità dei loro desideri e delle azioni. Sovente l’agire del pedofilo non è il frutto di un disturbo mentale, ma il risultato di una sessualità anomala, anche se in taluni casi è possibile riscontrare un disturbo di personalità narcisistica.
Fra le caratteristiche di queste personalità si ritiene esistere un’inadeguatezza delle risposte agli stimoli ambientali (impulsività, freddezza emotiva, anaffettività), oltre a una egosintonia di fondo con assenza di sensi di colpa, tipica di un disturbo antisociale di personalità (Ponti, 1999). Per questi soggetti, inoltre, vi sarebbe una tendenza alloplastica, e una forte propensione a mettere in atto e soddisfare le proprie pulsioni sessuali.

La maggioranza dei pedofili, dunque, sembra costituita da soggetti che non sono malati di mente secondo i criteri giuridici; ma sono tuttavia personalità che presentano un precario adattamento alla realtà, portatori di personalità disturbate, formatesi probabilmente, a seguito di esperienze infantili caratterizzate da abusi di vario tipo, gravi carenze affettive, trascuratezze genitoriali.

Secondo alcuni autori la pedofilia potrebbe essere definita soprattutto in termini di «pedomania» ovvero come relazione sessuale scaturita da una condotta seduttiva di un adulto psicologicamente immaturo nei confronti di un minore sessualmente immaturo.

In conclusione si può ritenere che una ipotesi di trattamento, se necessaria, dovrebbe essere ineluttabilmente valutata caso per caso, tenendo conto delle diversità personali, sociali e ambientali degli individui in questione.

A cura dell'O.N.A.P.

Vera Innocenti

domenica 16 gennaio 2011

PAURA, ANGOSCIA, STATO D'ALLERTA CONTINUO...VITTIMA DI STALKING


No...non posso più vivere così! Dovrei uscire e sono qui da più di venti minuti che controllo dalla finestra, poi socchiudo la porta e guardo e poi ancora alla finestra...Squilla il telefono..sobbalzo..no ti prego Dio fa che non sia quel maledetto che mi sta rovinando la vita!

Devo andare a prendere i bambini a scuola, santo cielo è tardissimo! Poveri figli miei, mi fa male vederli soffrire e mi sento totalmente impotente! Da quando ho chiesto la separazione dall'uomo che per dieci anni è stato mio marito, la vita mia e quella dei miei figli è diventata un incubo!

Ho provato in tutti i modi, ma ho dovuto chiedere la separazione, non potevo subire violenza (fisica e psicologica) continuamente. Speravo, con la nascita dei bambini, che lui si calmasse, che cambiasse...macchè! Anzi, ancora peggio!!

Ogni pretesto era buono per umiliarmi, per farmi del male, per picchiarmi.

Ho passato anni credendo che la colpa fosse mia, che in fondo ero io a "scatenarlo".

Ma quando ha picchiato selvaggiamente anche mio figlio, ho detto basta! E sono andata da un avvocato per chiedere consiglio.

Non avevo detto niente a lui che sarei andata da un avvocato, ma lui ha capito subito. Mi guardava con insistenza, mi scrutava, osservava ogni mio movimento.

Finchè arrivò la lettera dell'avvocato che ci convocava entrambi. E fu l'inizio dell'incubo.

Chiesi aiuto ad un'amica che mi offrì di andare ad abitare in un appartamentino di sua proprietà, appena fuori città.

"Bene" Dissi a me stessa, "Devo ricominciare una nuova vita". Così credevo, o almeno speravo.

Era un pò faticoso, ma mi sentivo forte perchè finalmente avevo ripreso in mano la mia vita. Dovevo fare un ventina di chilometri per accompagnare i bambini a scuola.

Il mio ex marito intanto mi chiamava continuamente al cellulare, mi tempestava di insulti, minacce.

Poi un giorno, probabilmente mi aveva seguita, aprendo la porta di casa per uscire me lo ritrovai davanti...e fu il terrore.

Il respiro mi si bloccò, sentivo le tempie pulsare, il cuore che usciva dal petto da quanto forte batteva.

Lui era lì con un sorriso beffardo e sibilò: "Tu lo sai che ti ammazzo!!".

Chiusi la porta in fretta, rimasi con la testa appoggiata alla porta per non so quanto tempo, quasi senza respirare per sentire se lui era ancora lì.

Un tuffo al cuore..."Caspita devo andare a prendere i bimbi". Presi il cellulare per chiamare la scuola e questo cominciò a squillare. Era lui! "No..no..basta maledetto!!"

Gli risposi urlando di lasciarmi in pace, di smetterla che lo avrei denunciato... Eh già, denunciato!
Come si fa a denunciare? Ci vogliono prove, testimoni, l'angoscia nel tentare di spiegare e l'impotenza nel vedere che chi è vittima non è protetta.

In Italia viene protetto il più forte, il delinquente, non la vittima!!

Come si fa a spiegare il terrore senza fine, in cui ti fa vivere lo stalker? Come si fa a descrivere l'eterna ansia, la paura costante per te e per i tuoi figli, che respirano l'aria di minaccia continua, che ti vedono in preda al panico anche se tu tenti di nascondere, con un finto sorriso per tranquillizzarli.

A volte mi sono sentita presa in giro persino dalle forze dell'ordine! Ti dicono: "Stia tranquilla, vedrà che non le fa niente" Oppure "Signora, cosa possiamo fare? Non possiamo venire lì ed arrestarlo! E con quale accusa poi?", "Chieda al suo avvocato".

Intanto il tempo passa e la tua vita diventa un inferno! Spesso sento la paura di morire, anzi sono già morta dentro! Perchè lo stalker vuole distruggerti. Con il suo terrorismo continuo ti uccide.

La mente impazzisce, tutti i sensi si amplificano come nell'animale braccato che scruta, ascolta e attende da un momento all'altro l'attacco del predatore.

Ho paura, per me e per i miei figli. Non so quando finirà tutto ciò, anzi, se finirà.

E' tremendo vivere così! La giustizia dovrebbe fare qualcosa...o sarò io LA PROSSIMA VITTIMA DELL'EX............

N.b.: esperienza vissuta

di Vera Innocenti